Il termine “visionario” è entrato nel nostro uso comune con l’accezione positiva, tipica dell’inglese “visionary”. In passato essere visionari significava non concretezza, definiva persone folli, sognatrici, incapaci di elaborare pensieri ancorati alla realtà. Oggi più che mai questa espressione identifica una modalità di pensiero che va assecondata, perchè la follia si annida sempre più nella realtà che viviamo, caratterizzata da guerre insensate, catastrofi climatiche, pandemie, incapacità di governi e apparati istituzionali di far fronte a problemi in tumultuosa escalation. Avere una visione quindi non è fuggire dalla realtà bensi’ il contrario: percepire la futura evoluzione delle cose, contrastare lo status quo e l’apatia, anticipare  soluzioni concrete. Essere visionari non è una caratteristica di imprenditori, manager, artisti, ricercatori, politici (di questi ne vediamo ben pochi a dire il vero). Essere visionari è diventato una necessità. E’ diventato chiaro a tutti che il possibile non esisterebbe se qualcuno non tentasse costantemente l’impossibile.

In Italia, per venire al tema del futuro del Made in Italy, assistiamo a uno scenario incredibile. La vitalità di milioni di piccole imprese di qualità che potrebbero crescere e soddisfare una domanda internazionale in continuo aumento, che genera da tutto il mondo una richiesta di creatività e produzioni italiane autentiche, viene di fatto avversata e dispersa da un Sistema Italia incapace di  sostenerla e trasformarla in una concreta proposta di valore. Le aziende, soprattutto quelle più piccole e meno strutturate, dalle istituzioni e dai media ad esse asserviti ricevono informazione fuorviante e messaggi incoerenti che le spingono a disperdersi in tutte le direzioni come schegge impazzite.

Si magnificano i grandi  successi dell’export italiano mentre ogni anno diminuisce il numero delle aziende esportatrici. Si ignorano le politiche di rete. Mancano modelli collaborativi in grado di sbloccare organizzare e aggregare la loro formidabile energia e incanalarla in progetti e capaci di creare valore, e accrescere non solo il fatturato all’esportazione dei grandi gruppi, ma anche il beneficio a favore di  un Made in Italy di cui le microimprese sono il cuore pulsante.

Sembrerebbe che gli Steve Jobs nostrani presenti nelle istituzioni, nelle grandi associazioni, e nelle loro Cabine di Regia abbiano una visione. Potete andarla a vedere nel compendio di misure dell’ultima legge sul Made in Italy. E’ incentrata sulla cucina italiana nello spazio e sull’intelligenza artificiale di cui discertano Presidente del consiglio e Presidente della Repubblica con il capo di Microsoft. Intanto gli algoritmi dell’intelliganza artificiale del fisco continuano a sparare cartelle pazze.

Se questa è la visione del sistema Italia le soluzioni sono 3: cambiare visione, cambiare sistema, o cambiare paese (come purtroppo stanno facendo moltissimi nostri giovani).

Anche in conseguenza di quanto sopra, in Italia siamo indifesi e inerti rispetto ai rischi globali, siamo vittime di misinformazione sia pubblica che privata, cala progressivamente la fiducia nelle  istituzioni e nel futuro.

Vogliamo reagire con una nuova visione del Made in Italy, fondata sul valorizzare con adeguati interventi, competenze, e strategia, il patrimonio unico e inesauribile di piccole aziende di qualità. I veri visionari del Made in Italy  pensano in modo positivo e schierano iniziative concrete per valorizzare l’energia vitale delle imprese del Made in Italy. Di fronte ai i ritardi, alle inefficienze, all’inadeguata risposta al bisogno di fiducia nelle istituzioni, di fronte a politiche, strumenti, investimenti pubblici e privati, di fronte a un sistema pubblico che appare dichiaratamente schierato con i nemici della piccola impresa c’è un solo modo di reagire. Aprire nuove strade, creare coalizioni alternative  e modelli positivi per gestire al di là degli schieramenti il futuro difficile che ci aspetta.

Per fortuna nelle aziende, nelle istituzioni e nelle associazioni c’è qualche visionario vero. C’è chi ha il coraggio di pensare al difuori del pensiero unico, politically correct, che le èlite dominanti vorrebbero imporci. Il cambiamento non si può fare da soli, e per ricostituire un pensiero positivo bisogna partire dalle piccole imprese e introdurre un cambiamento che parte da nuovi modelli associativi visionari. Modelli associativi professionali e datoriali di nuova generazione  che lavorano per i propri associati e per il bene comune, nei quali gli associati sono attivi e  protagonisti. Modelli positivi di approccio all’innovazione e all’internazionalizzazione che non vanno a chiedere al sistema pubblico un obolo, ma documentano con i fatti, i progetti, le loro iniziative che il Sistema Italia delle imprese, dei territori, dei professionisti è vivo, vitale, e capace di compattarsi e coalizzarsi per il bene comune.

Oggi si è aperta la seconda edizione di Wine in Venice, uno straordinario evento anch’esso visionario, nella città emblema dell’Italia nel mondo, incentrato sul valorizzare in un contesto irripetibile l’unicità dei vini italiani dei piccoli produttori sostenibili, etici, innovativi. Nell’intensissimo programma ci sono due cose da non perdere:

1 – Le degustazioni che per 4 giorni vi consentiranno di assaporare le emozioni uniche trasmesse dai migliori vini italiani;

2 – L’appuntamento di lunedi 22 gennaio alle 12:30 sul tema “i Visionari del Made in Italy” che vedra in campo la presentazione delle azioni positive coalizzate, che organizzazioni come FederItaly, Fondazione Ampioraggio, JazzAI, AssoretiPMI, e Uniexportmanager stanno ponendo in essere oggi per anticipare un futuro migliore per le piccole imprese che producono in Italia.

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Giuseppe Vargiu,
Presidente Uniexportmanager