In uno scenario globale dove il costo della guerra diffusa, tra armi e violenze, ha raggiunto i 20 trilioni di dollari, con la spesa militare che sale all’11,6% del PIL mondiale (fonte IEP Institute for Economics & Peace), le risorse pubbliche e private vengono sempre più spesso dirottate dal settore civile a quello militare. Questo fenomeno non solo sottrae fondi a investimenti produttivi e innovativi, ma distorce gli incentivi per le imprese, che trovano più conveniente lavorare per lo Stato e per l’industria bellica piuttosto che competere in mercati aperti e dinamici.
Si sta formando un sistema economico dominato da aziende medio-grandi, sostenute e incentivate dai governi e dalle lobby internazionali, mentre il business internazionale viene guidato da interessi geopolitici e non dalla qualità, dall’innovazione, o dalla competitività. Lo dimostra l’incentivo Simest a favore delle aziende che esportano in Ucraina, milioni regalati alle lobby oppure alle aziende italiane che fanno mine anti uomo, non certo al supporto di un export intelligente del Made in Italy e al sostegno delle imprese che in questo frangente dovrebbero essere indirizzate verso scelte intelligenti di sviluppo business internazionale.
La classifica dei paesi nei quali investire “in pace”
Se interrogate le banche dati e i molteplici strumenti di intelligenza artificiale per ottenere risposte idonee a orientare al meglio il vostro export, molto difficilmente sarete indirizzati verso i paesi in cima all’indice mondiale delle economie di pace.

Questo perché anche gli algoritmi, i motori di ricerca, e in genere l’informazione in rete è pesantemente influenzata da elementi oscuri e per niente trasparenti. Basta domandarsi quali sono gli interessi che stanno dietro alle Big Tech. A pensare male si fa peccato, ma quando anche le istituzioni incentivano gli investimenti e le esportazioni verso i paesi ad alta intensità bellica, spesso ci si azzecca.
La marginalizzazione delle PMI del Made in Italy
In questo scenario, le PMI del Made in Italy di qualità rischiano di essere marginalizzate, anche più di quanto lo siano state finora, perdendo ulteriore terreno nei mercati tradizionali e vedendo ridursi le opportunità di crescita autonoma. Eppure, proprio in questa fase di trasformazione, le PMI possono trovare nuove opportunità. Non possiamo far niente per modificare scelte che ci vengono imposte e che non condividiamo. Ma dobbiamo essere sereni e propositivi quando come imprenditori o insieme a loro siamo chiamati a indirizzare scelte strategiche per il futuro del nostro business. Quando le grandi aziende si concentrano sulla produzione per la difesa, si aprono spazi nei mercati civili che possono essere occupati da piccole imprese capaci di innovare nei modelli di business, fare rete e collaborare.

L’export collaborativo – ovvero la capacità di aggregarsi per affrontare insieme i mercati esteri – diventa una leva fondamentale per superare i limiti dimensionali, condividere costi e competenze, e valorizzare la creatività e l’imprenditorialità italiana. Ma serve una nuova cultura dell’export: quando cambia l’ordine mondiale, saltano le regole, non esiste certezza del diritto internazionale e chi fa internazionalizzazione o opera nel commercio e nel business internazionale deve cambiare gioco. L’approccio all’export business occorre farlo in modo intelligente, acquisendo consapevolezza, sfruttando le tecnologie digitali, governando senza subirla l’intelligenza artificiale, adattando l’offerta, migliorando la logistica e la comunicazione internazionale. Le PMI italiane, grazie alla loro flessibilità organizzativa e alla capacità di decisione rapida, possono acquisire una posizione di vantaggio, ma devono rinnovare il loro approccio con una nuova consapevolezza degli spazi da occupare nella transizione in atto nel sistema internazionale.
Le iniziative intelligenti che rimettono in gioco le PMI
Serve dare alle aziende italiane un rinnovato orientamento sul modo con il quale deve essere portato sui mercati, aldilà dei luoghi comuni, e il valore del Made in Italy.

Nuove Iniziative, come ad esempio il progetto AI International Assessment, guidato da una task force di esperti export e innovation manager che interviene a livello sperimentale su un cluster di aziende selezionate in tutta Italia (la call per gli interventi gratuiti non è ancora aperta ma le manifestazioni di interesse possono già essere inviate da aziende di qualità del Made in Italy) che vogliano beneficiare con consapevolezza dell’export collaborativo).
Questo progetto è basato su prassi certificate come la UNI/PdR 163, unita all’uso ragionato dell’AI, e all’assistenza di auditor indipendenti e qualificato, con un output che indirizza l’azienda beneficiaria su concrete azioni operative per evolvere la competitività e la export readiness. Sono iniziative pilota che rappresentano il motore della trasformazione evolutiva attraverso l’export collaborativo. Il modello nazionale portato avanti da Uniexportmanager viene già ripreso da persone visionarie e illuminate nelle associazioni e nelle istituzioni, con progetti territoriali e regionali che prenderanno avvio nei prossimi mesi.
Lavoriamo per migliorare l’export convinti che l’unione, la collaborazione e l’innovazione siano le chiavi per conquistare nuovi mercati senza rinunciare all’identità e alla qualità che rendono unici i prodotti italiani autentici. In un mondo che dilapida sempre più risorse in armamenti, offriremo alle aziende nuova consapevolezza delle proprie potenzialità, collaborazione e intelligenza: solo così le PMI potranno continuare a essere protagoniste, non solo in Italia ma nel mondo intero.
Grazie per leggere e diffondere il pensiero #ExportItalia2030
Giuseppe Vargiu,
Presidente Uniexportmanager
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