Dopo il summit di Anchorage la mappa del mondo non è cambiata, la pace in Ucraina resta lontana, e noi tutti possiamo tornare ai sollazzi estivi magari gustando un buon gelato artigianale.

Il negoziato supremo ha restituito a Putin un tappeto rosso di credibilità e rispetto, l’America ha fatto un passo avanti nel salvare la faccia tirandosi fuori da una guerra sostanzialmente perduta, e ora la palla passa a Zelensky, all’evanescente Europa di VDL, e alla improbabile Coaliton of the Willing. Ossia ai nostri governanti volenterosi, capaci solo di fare incontri senza fine per dibattere su soldi (nostri) e armamenti, ma incapaci di decidere sulla domanda cruciale.

Che è: l’Europa vuol fare la guerra alla Russia oppure no? Se sì, dal momento che l’America si tira fuori, deve per forza mandare soldati in Ucraina, e comprare missili dall’America. Non bastano certo gli armamenti che non ha a sufficienza ora, e che non avrà a sufficienza dopo. E se i Russi decidono di attaccarci siamo completamente esposti, non abbiamo modo oggi, e ragionevolmente non avremo modo mai di difenderci. Per cui ha senso far guerra a Putin, quando lo stesso Trump ci ha rinunciato?

Se la risposta è no, si deve semplicemente prendere atto che far pace e riattivare i rapporti con la Russia è più conveniente. Questo perchè l’Europa è una vera potenza commerciale ma, nonostante già spenda più della Russia in armamenti, è uno zero assoluto a livello militare. Se dobbiamo fare una guerra, sarebbe meglio giocarla su campo dove siamo forti, oppure farla contro chi già ce l’ha dichiarata a livello commerciale, ma come si è visto sul tema dazi ci siamo arresi senza combattere. Ne ho parlato su questa newsletter.

Il 75% degli Ucraini vogliono la pace, i soldati al fronte sono estenuati perché continuano a  combattere e morire senza sapere più per che cosa. Intanto prosegue il paradosso per il quale Kiev ha impedito ai suoi alleati europei di continuare a ricevere il gas di Mosca dai suoi gasdotti, ma si fa pagare dalla UE, con prestiti che mai potrà rimborsare, il gas russo che compra da Slovacchia e Ungheria. Una strategia occidentale dimostratasi catastrofica, ha indotto i Russi all’invasione utilizzando la martoriata Ukraina come popolo usa e getta, da gettare via quando qualcuno ha cambiato idea. Un film già visto in Afganistan. Il land swap, ossia quello che chiamano scambio di territori, sarà il prezzo che dovranno  pagare, secondo solo ai milioni di inutili vittime di questa guerra, e quanto prima si farà tanti meno territori Ucraini diventeranno russi.

La lezione che viene da Anchorage per il mondo del business internazionale, a livello di governi ma anche di aziende grandi e piccole, è molto semplice: non confondere mai il marketing con la sostanza della trattativa. Alla fine i potenti escono comunque vincitori  a causa della loro forza. Il problema qual’è? come accade alla maggior parte di noi, il problema nasce quando il potente non sei tu. Vale per la nostra piccola Italia, che è sistematicamente appiattita a ogni minimo desiderio del nostro “alleato” americano. Invero, non è soltanto l’America a imporci che fare. Siamo attenti a non indispettire la Libia a costo di lasciare andare criminali come Almastri, e siamo prostrati di fronte al governo genocida di Israele con il quale manteniamo un trattato di cooperazione che nel suo articolo 2 ha come presupposto il rispetto del diritto umanitario. A un diverso livello l’ossequio forzato verso chi detiene il potere vale per le nostre piccole imprese sui mercati internazionali. E’ inutile sperare che il prestigio, il marketing, e la propaganda del Made in Italy possa renderle più forti quando vanno a trattare con le controparti internazionali.

Il tour Amerigo Vespucci per il Made in Italy.

Tutta la retorica e la propaganda sui prodotti italiani autentici sarà completamente inutile quando scendi in trattativa faccia a faccia con solide controparti internazionali, con le quali non hai reale forza contrattuale. Il prestigio e la reputazione faticosamente costruiti in patria diventano inutili se non disponi di cultura, persone, e partner in grado di governare i rapporti con logiche che sono spesso completamente diverse da quelle domestiche. Per non parlare  di quando cerchi di vendere un prodotto a interlocutori che possono comprare tutta la tua società, per poi magari chiuderla mantenendo marchio e i profitti.   Magari utilizzando i generosi sostegni governativi assicurati agli “investitori” internazionali. Va rivista e reimmaginata tutta la visione e la narrazione dei prodotti italiani, e va portata alle aziende – una per una – la necessaria cultura dell’export, della collaborazione, del rinnovato approccio a mercati e modelli che, nell’era dell’intelligenza artificiale, evolvono ad una rapidità mai vista.

Approfondiremo in altre  occasioni, ora possiamo tornare al gelato  (ringrazio per l’immagine di copertina la più rinomata gelateria di Bassano del Grappa)

E’ un piacere discreto, quasi segreto: quello di sentirsi utili in un momento in cui il resto del mondo ha scelto di fermarsi sospeso, le strade vuote, silenzi immobili, come se il tempo avesse deciso di rallentare. Adoro questa stagione quando, mentre molti si disperdono nei rituali vacanzieri, tu puoi creare qualcosa di diverso. Lavori concentrato, senza interruzioni, immerso in un flusso limpido di pensieri e azioni. Il telefono tace, le email non arrivano. Tanta è la confusione sotto il cielo, meglio un gelato.

gelateria a Bassano del Grappa

Il quadro generale appare un intreccio di contraddizioni e crisi, nel quale l’unica certezza è l’incertezza stessa. Non resta che riflettere sul fatto che, se Mao vedeva nella confusione sotto il cielo la scintilla per un cambiamento rivoluzionario, oggi questa confusione è piuttosto un segnale di emergenza che richiede nuova visione, coerenza, e solidarietà globale. Negli ambienti dello sviluppo business internazionale chi lavora (e anche chi è in vacanza) lo sa bene, e con l’export collaborativo e l’intelligenza artificiale lavoriamo a molte cose belle. Ne parleremo presto.

Buon proseguimento d’estate,

Giuseppe Vargiu,
Presidente Uniexportmanager