Vale 15 milioni di dollari quest’opera di Banksy, il fantomatico street artist più famoso del mondo, e dal 2009 resta attuale più che mai. Non solo con riferimento alla Camera dei Comuni britannica, i cui membri sono qui rappresentati come scimmie, ma anche ai nostri parlamenti europei e italiani, nel significato universale che raffigura il progressivo decadimento della democrazia e di un sistema capitalistico in declino. Quando il luogo del potere è ridotto a una farsa animalesca, quando parlamenti e governi di fronte a guerre e sanguinari genocidi non sono capaci di una vera reazione, quando stampa e media perdono i valori umani più elementari, satira e arte sembrano gli unici mezzi per una reale presa di coscienza.
Nel dipinto il contrasto tra il soggetto animale e l’ambiente austero del Parlamento, dove prevalgono i comportamenti animaleschi dei capibranco di turno e degli scimpanzè asserviti rende bene la chiara critica alla politica, suggerendo che, nonostante l’evoluzione, i progressi tecnologici, l’intelligenza artificiale, il comportamento umano è ancora largamente dominato da impulsi primitivi, irrazionali e tribali.

Impulsi animali che portano la politica a obbedire alla legge del più forte. L’ultimo esempio è l’intimazione dei capibranco della Nato ai paesi membri di destinare alle guerre il 5% del prodotto interno nazionale. Così come ci siamo adeguati al 2%, non abbiate timore che i “devolved parliaments” europei, anche in questo caso, continueranno a fare del male ai propri elettori sottomettendosi a tutte le scelte autolesionistiche imposte in nome di un Occidente che non esiste più e di un patto atlantico ormai stracciato.
Dal pianeta delle scimmie al pianeta del commercio internazionale
L’impulso di sopravvivenza è quello che muove anche il commercio internazionale, ma a differenza dei parlamentari, i quali si salvano sempre, gli imprenditori che governano aziende medie e piccole sanno che se si muovono allo stesso modo delle scimmie asservite ai capibranco rischiano di fare una brutta fine. Il business globale è dominato oggi da colossi internazionali la cui incombenza finanziaria, tecnologica, di potere, è assolutamente dominante sui mercati e spesso più potente dei governi e dei loro apparati, ai quali impongono decisioni e scelte. In un contesto economico globalizzato e ipercompetitivo, le piccole e medie imprese (PMI) si trovano pertanto da sole, e costrette a rivedere i modelli tradizionali di business, mentre si sentono tradite dai loro stessi rappresentanti, appiattiti nel servile encomio al potere. Lamentarsi non serve, ma anche è velleitario pensare di potersi opporre ad un intero sistema che dichiara a parole di favorire l’export delle piccole imprese, ma che di fatto ne comprime la crescita, favorisce lo strapotere delle grandi organizzazioni, finanzia e sostiene la delocalizzazione, facendo da soli, o peggio “come si è sempre fatto”.

E’ necessario adottare nuove strategie di aggregazione come unica via percorribile per la crescita e l’internazionalizzazione. La piccola dimensione aziendale in sé può essere virtù intrinseca del sistema produttivo, perché conferisce agilità, varietà, flessibilità, ma bisogna superarne i limiti strutturali. In passato, e in alcuni casi fortunatamente anche oggi, abbiamo visto per esempio come il modello dei distretti produttivi si sia rivelato lo strumento vincente per la crescita delle aziende e del loro export, senza bisogno di delocalizzazioni.
Aggregazioni – Reti di impresa – Export collaborativo
Grazie alla transizione digitale è possibile reimmaginare nuovi modelli di aggregazione, virtualizzazione, di fabbrica diffusa, così come di export collaborativo.

Serve facilitare i modelli aggregativi, rinnovare e rendere agile e conveniente – e adeguato ai tempi il contratto di rete, per esempio limitando adempimenti burocratici o ponendo in essere facilitazioni simili a quelle per le startup innovative. Serve lavorare per una nuova cultura dell’export che veda le aziende esportatrici collaborare interagendo e condividendo risorse comuni.
La sfida alle narrative dominanti
La narrazione dominante e le iniziative di promozione dell’export del Made in Italy che si limitano alla propaganda istituzionale, senza interventi concreti su normative, innovazione, e cultura, insieme al sostegno alle imprese, costano tanto e non producono benefici reali né per la crescita delle piccole e medie imprese, né per il bene comune. Le PMI italiane rappresentano una risorsa chiave per l’economia nazionale, ma continuano a scontrarsi con ostacoli strutturali come la frammentazione normativa, la burocrazia, e la mancanza di strumenti operativi efficaci. Senza misure mirate, le azioni di facciata rischiano di essere esercizi retorici privi di impatto reale sulla competitività e sull’internazionalizzazione delle imprese.

Crescita attraverso l’aggregazione
Un percorso obbligato verso l’aggregazione rappresenta per le MPMI (e non solo) una risposta pragmatica a dinamiche di mercato inarrestabili, portando una nuova cultura dell’ export collaborativo e dell’aggregazione per la crescita. Associazioni visionarie come Uniexportmanager, AssoretiPMI, Fondazione AmpioRaggio, FederItaly, lavorano ogni giorno con i loro associati a nuove iniziative concrete che superano gli steccati ideologici, e la contrapposizione tra piccola e grande impresa. La sopravvivenza delle PMI passa attraverso una metamorfosi organizzativa che trasforma l’aggregazione e la collaborazione da opzione strategica a necessità vitale. E’ un concetto che piacerebbe a Banksy, che da piccolo artista di strada è diventato, attraverso collaborazioni intelligenti e strategiche, imprenditore internazionale dell’arte digitale. Un concetto che anche nelle sacre aule del pianeta delle scimmie, quando smetteranno di accapigliarsi e lavorare per la guerra, potrebbe essere adottato. Nell’attesa, ci muoviamo uniti nel pianeta dove noi viviamo e vogliamo crescere lavorando per il bene comune.

Giuseppe Vargiu
Presidente Uniexportmanager
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