Non prendetemi per pazzo se dico che la guerra dei dazi è la scossa che ci voleva per dare  impulso a un sistema export del Made in Italy che trascina un modello obsoleto, con gli USA che erano il primo riferimento per l’export extraeuropeo, dove la finanza prevale sulla produzione, dove i sostegni pubblici avvantaggiano una cupola ristretta di operatori dominanti, spesso legati al capitale internazionale.

L’ imposizione di dazi a mezzo mondo da parte degli Stati Uniti è una straordinaria opportunità per le  aziende italiane esportatrici, ed è un’occasione unica per quelle che esportatrici vogliono diventare. E’ nel Dna degli italiani, dai Romani a Marco Polo e a Cristoforo Colombo, esplorare i nuovi mondi e aprire nuove strade agli scambi e ai commerci.

Non siamo fra i sempre meno numerosi ammiratori del presidente Trump, ma su una sua affermazione siamo completamente d’accordo: se non hai le carte non puoi vincere. Ne abbiamo parlato qui recentemente. Dunque l’Italia deve cambiare tavolo, cambiare gioco, combattere una partita diversa, nella quale le sue aziende vanno sostenute per individuare o costruire nuove destinazioni di mercato e nuovi modelli di business internazionale.

i visionari dell’export

La scuola di pensiero dei visionari dell’export, di cui da sempre è espressione questa newsletter, è condivisa da personalità illuminate, presenti nelle associazioni e negli apparati istituzionali, e parte dal fatto che il vero vantaggio comparato del nostro paese, povero di risorse e materie prime, è dato dalla quantità, varietà, e dal valore proposto da centinaia di migliaia di piccole aziende che lavorano e producono come piccole formiche, e che potrebbero essere compattate, aggregarsi, e volare. Se riuscissimo a fare evolvere in positivo la scuola di pensiero dominante e devastante che colpevolizza le piccole imprese per il solo fatto di esistere e di avere una ridotta dimensione. Come se fosse volontà dell’imprenditore rinunciare alla crescita e all’export. L’Italia non è un produttore primario, e ha un mercato domestico limitato: quello che può e che deve fare, è compattare milioni di aziende produttrici e trasformatrici e soddisfare una domanda estera ancora in gran parte latente, che ha fatto del Made in Italy il terzo marchio più conosciuto al mondo.

Il fallimento della finanza globale speculativa è sotto gli occhi di tutti: le borse si sgretolano e perdono i guadagni di anni, le grandi fabbriche delocalizzano lasciando un desolante panorama di capannoni vuoti o di magazzini di merci importate, i nostri giovani vanno via. Mentre le borse bruciano migliaia di miliardi in un giorno, vogliono farci chiedere che spendere 800 miliardi in armamenti per fare la guerra sarà la nostra salvezza. L’unica riconversione efficace è quella verso la guerra dell’export, fatta di sostegni per creare potenziare e rendere competitivo un esercito di PMI che non teme i dazi o misure protettive, perché è capace di proporre un valore più forte a nuovi mercati e con nuovi approcci, strategie, modelli di business.

I dazi sono l’occasione per rovesciare il vecchio concetto caro alla grande finanza, ossia che le aziende italiane sono troppo piccole, e che devono crescere prima di affrontare la battaglia dell’export. Questo concetto va rovesciato! Il nuovo modello è l’opposto, e deve essere sostenuto come già sta accadendo in Spagna: centinaia di migliaia di aziende italiane compattate, aggregate, e organizzate con adeguate competenze, piccole medie e grandi, diventano un esercito invincibile nella battaglia dell’export. E diventa l’export il vero fattore della crescita.

credits SACE

Occorre riorientare le risorse dalla finanza alle attività produttive e all’innovazione, e investire in un nuovo modello di esportazione e importazione dei prodotti nazionali autentici basato sulla collaborazione delle aziende per il bene comune. Un nuovo export fondato non sulla vacua propaganda delle “eccellenze del Made in Italy”, bensì fondato sul potenziamento competitivo delle nostre MPMI, che proprio dalla guerra commerciale in corso possono individuare e sfruttare vantaggi competitivi unici e attestarsi su mercati e nicchie inattaccabili. Il mercato americano è solo una piccola parte di quello mondiale, e il Made in Italy autentico non ha bisogno di promozione, bensì di essere portato materialmente  a terra a chi lo cerca. Il piano di azione recentemente messo a punto dal MAECI e dalle Agenzie del Sistema Italia, ICE, Sace Simest, CdP, è un inizio, ed è un positivo abbozzo di reazione. Ma per trasformare una reazione di facciata in un azione forte ed efficace, gli apparati istituzionali e quelli delle associazioni imprenditoriali dovranno aprirsi, uscire dalle loro torri di avorio, e collaborare con chi porta conoscenze, abilità, e competenze per il nuovo export.

Riconvertire un esercito di PMI per l’export per aprire nuove strade sui mercati internazionali richiederà la mobilitazione di migliaia di professionisti con competenze diversificate, ma anche valorizzare le comunità italiane all’estero, e attivare le reti e i territori locali. Per farlo serve una visione consapevole e condivisa, ed esempi di azioni immediate di addestramento dell’esercito di PMI che possono vincere la guerra non solo dei dazi, ma anche del business internazionale.

Una prima pratica da copiare e riutilizzare potrebbe essere il programma Uniexportmanager di AI Assessment per la nuova internazionalizzazione, che ha appena creato una legione di export manager esperti nell’affiancare le PMI agevolando il loro sviluppo internazionale.

Esperti in reti di export, import, e intelligenza artificiale, che applicano prassi di riferimento consolidate e certificate, delineano modelli operativi profilati sulla base della realtà e prontezza delle aziende. E’ un programma aperto a nuove collaborazioni, che si aggiungono a quelle già in corso con Camere di Commercio e Associazioni illuminate che vogliano unirsi in una rinnovata visione volta a fronteggiare con successo le minacce emergenti, trasformandole in opportunità e trovando strade alternative per l’export, e costruendone nuove dove necessario.

Giuseppe Vargiu
Presidente Uniexportmanager