Otterremo la pace attraverso la forza delle armi”, ci dicono i bellicosi leader della Commissione Europea, avvalorando una bugia fondata sul pericolo assurdo che la Russia voglia invadere l’Europa, arrivando fino a Lisbona. Il  consenso viene costruito disseminando  paura. Basta ripetere ossessivamente in tutti i modi che i russi vogliono attaccare l’Europa, che bisogna far presto, e che se qualcuno invoca la pace bisogna accusarlo di esporci al pericolo senza difenderci. Il tutto pilotato dalle èlite corrotte da lobby, potentati finanziari, e industrie belliche.

Non è questa la sede per dissertare di geopolitica, ma questa premessa è indispensabile per ragionare sulla vera forza dell’Italia e dell’Europa, che è tutto fuorchè militare. La maggior parte di noi sa bene che  investire miliardi in spese militari e arruolare soldati da mandare a morire in caso di guerra servirà a poco o a niente, come hanno dimostrato gli ultimi tre anni in un Ucraina che finirà spartita tra Russia e America. Oggi la guerra non è più questione di armamenti convenzionali. Quanti SAMP servirebbero per difendere da attacchi missilistici le centinaia di città e obiettivi sensibili del nostro paese? Come difenderci da attacchi informatici? Come controbattere l’attacco di un virus pandemico? Quanti nostri bambini potrebbero essere sterminati a freddo vigliaccamente come sta succedendo a Gaza senza che noi neanche abbiamo il coraggio di dichiarare un minimo di indignazione? Come opporci a un blocco delle forniture di gas, energia, e materie prime, che importiamo dall’estero? O dagli attentati a treni e alle infrastrutture? E tutto questo a prescindere dal pericolo nucleare, che vede l’Europa cento volte inferiore, e l’Italia primo bersaglio, dal momento che ospita graziosamente testate nucleari per conto terzi.

Ma prima ancora di riarmarsi per guerreggiare, sappiamo quantificare il valore della pace? Ossia il fatto di non essere in guerra? Secondo Moody’s Analitics, in un’intervista rilasciata i giorni scorsi al Financial Times, il fatto di non armarsi dopo la seconda guerra mondiale ha liberato risorse economiche per gli investimenti privati, permettendo ai governi europei di aumentare il sostegno a pensioni, sanità, scuola, e welfare sociale. Per un ammontare quantificato in 387 miliardi all’anno. Questo è il risparmio che potremmo ottenere soltanto decidendo di mantenere un’Europa al di fuori dai conflitti. Al contrario, 26 governi europei su 27, espressione di una democrazia delle élite, hanno approvato un piano di riarmo che costa 800 miliardi, da aggiungere naturalmente ai 387 che costerebbe un’Europa convinta di ottenere la pace con la forza delle armi.

Prima di tutto bisogna andare alle ragioni che stanno alla base  dei conflitti. La storia ci insegna che la strada da seguire è sempre la stessa: follow the money.

Come vedete gli USA esportano molto meno della Cina, la Russia con tutto il suo gas esporta quanto la Svizzera, e l’Europa unita potrebbe essere una potenza economica superiore a  Cina e America insieme.

Questa seconda mappa, rapportata alla precedente, rende clamorosamente evidente il disastroso disavanzo USA che esportano 2.200 miliardi e importano per 3.178, a fronte del grande rivale, la Cina, che al contrario esporta per 3.380 ed importa per 2.560, con un surplus favoloso. In Italia, nel nostro piccolo, stiamo bene con 37 milioni di surplus nel 2023, aumentato a 54 milioni nel 2024, nei quali gli  USA pesano per l’11%.

Era inevitabile che prima o poi gli USA dovessero prendere misure drastiche per riequilibrare i conti. Sono problemi per noi, che negli Usa esportiamo tanto, ma è un male comune di tutti coloro, soprattutto cinesi, messicani, canadesi, che agli americani vendono molto. D’altra parte come vedete il mondo è grande e, se vogliamo rimodulare il nostro export abbiamo l’imbarazzo della scelta come destinazioni alternative. Primo perché tutto il mondo cerca il Made in Italy, secondo perché le aziende italiane dispongono di risorse tali in termini di qualità, diversificazione merceologica delle produzioni, flessibilità, capacità, e resistenza del nostro sistema imprenditoriale – fatto in prevalenza di PMI – da poter far diventare l’export il vero vantaggio comparato del paese, sia con i dazi che senza.

Le mappe di cui sopra rendono evidenti le ragioni delle guerre, e indicano la strada per far valere la pace con la vera forza dell’Italia e dell’Europa, che è non riarmarsi militarmente ma riarmare l’export. E’ in questa direzione che sembra volersi muovere il piano di azione del MAECI e del Governo Italiano: l’obiettivo dichiarato è raggiungere i 700 miliardi di export, nella speranza che l’America sia buona con noi, perchè siamo i pontieri, e con l’idea di reindirizzare l’export verso altre destinazioni emergenti, magari recuperando qualcosa, perché no, anche da Russia e Ucraina.

Il piano di azione, come dice il Ministro e VP del CdM Tajani dichiara “una strategia di promozione integrata tra i vari attori del Sistema Italia, focalizzata su Paesi ad alto potenziale e settori di punta del Made in Italy“ con benefici a favore di tutte le aziende italiane, grandi, piccole e piccolissime. Benefici per le MPMI a dire il vero non è che siano molto chiari, visto che il numero di aziende esportatrici continua diminuire di anno in anno, e che l’obiettivo di aumentarne il numero non si vede proprio nel documento.

Vero è anche che si parla di paesi extra europei, dove esportare non è  facile per le realtà più piccole. Ma a maggior ragione azioni positive come i voucher export sono richieste da tutte le associazioni imprenditoriali. Misure come queste affiancano chi ne ha più bisogno, si ripagano da sole, e sono molto più efficaci dei piani strategici. Cerchiamo di essere positivi anche noi, sperando che in fase di attuazione del piano di azione qualcuno si ricordi che esistono non solo gli interessi delle potenti élite dell’export, ma anche quelli del bene comune derivante dalle azioni che portano adeguate competenze allo sviluppo internazionale delle PMI del Made in Italy.

Qui se volete il link alla conferenza del 21 marzo, dove troverete anche il numero di cellulare dedicato dal MIMIT a tutti coloro che vorranno porre quesiti  sul piano di azione.

Secondo ExportItalia 2030, quello che manca in questo piano, tecnicamente ineccepibile nello schierare ingenti risorse per rispondere a una crisi mondiale senza precedenti, è la visione, o meglio direi, l’anima. Il Ministero degli Esteri, e i superesperti di CDP, ICE, Sace, Simest che lo hanno messo a punto, come sempre, fanno un ottimo lavoro. L’export è tra le priorità, l’obiettivo da 670 a 700 miliardi di fatturato export è abbastanza sfidante e ragionevolmente raggiungibile, allochiamo un piccolo budget e vi diciamo cosa vogliamo fare per raggiungerlo. E’ un buon esercizio di ordinaria amministrazione. Il problema si colloca più in alto, al di fuori dell’Italia, e non è certo l’America o la Russia. In 40 anni di lavoro nel mondo come imprenditore ed export manager, ho imparato e insegnato che l’export è una guerra, dove è importante la strategia, ma dove quello che conta di più è la consapevolezza della propria forza, delle armi che si possiedono, e l’intelligenza nel farle valere.

Davide non ebbe bisogno di crescere e armarsi per diventare grande e far fuori Golia con la sua fionda. Non c’è bisogno dell’intelligenza artificiale per capire che la forza dell’Europa sta nella sua macchina produttiva e commerciale, e nella capacità di produrre valore e surplus. In tempo di pace. Invece le scelte politiche guerrafondaie finora operate, le autosanzioni alla Russia, le speculazioni sull’energia, l’autolesionismo ecologico, la burocrazia senza fine, e per finire l’attuale scelta per un costosissimo e inutile riarmo, hanno gradualmente sgretolato la sua incredibile potenza commerciale. La forza vera dell’Europa è effettivamente legata alla capacità commerciale e industriale delle sue aziende, che potrebbe fare del continente un leader mondiale incontrastato. Nessuno al mondo possiede un Mercato Unico e un Integrazione Economica come quelli dell’Unione Europea, che comprende oltre 440 milioni di consumatori e 23 milioni di imprese, rappresentando circa il 17% del PIL mondiale. Ma anche competitività, innovazione e cultura.  Anche cooperazione industriale e politiche di concorrenza. L’UE ha un modello economico aperto, con un alto grado di concorrenza di mercato e un solido quadro giuridico, che combina alti livelli di integrazione economica con bassi livelli di disuguaglianza.

E’ meglio un’Europa che rinuncia a  350 miliardi l’anno di Dividendo della pace e in più paga 800 miliardi alle lobby delle armi, oppure un’Europa che alloca 800 miliardi sul potenziare la crescita competitività e l’export delle sue imprese?

La forza sia con voi, ma non quella delle armi.

Giuseppe Vargiu
Presidente Uniexportmanager