Vilfredo Pareto, sociologo ed economista italiano del primo novecento, è conosciuto universalmente per la legge di Pareto che afferma che il 20% delle cause provoca l’80% degli effetti.

Non molti sanno però che elaborò una teoria delle élite che ancora oggi è illuminante sul funzionamento delle democrazie. Non a caso l’elitismo fu alla base delle decisioni che condussero ai sanguinosi conflitti mondiali del secolo scorso, costati milioni e milioni di vittime. Secondo la sua analisi, la democrazia è una illusione. Sia che si chiami democrazia, autocrazia, oligarchia, o dittatura ogni sistema politico è governato da una minoranza dominante (élite) che persegue primariamente la propria conservazione al potere, mascherando gli interessi particolaristici dietro finti ideali di patria, libertà, e giustizia o narrazioni di bene comune.
Democrazia come illusione
Pareto sosteneva che l’idea di governo espresso dal popolo fosse un “artificiosa costruzione”, poiché il potere reale risiede sempre in gruppi ristretti. Le élite – indipendentemente dal sistema istituzionale – utilizzano il consenso elettorale come strumento per legittimare il dominio, attivando meccanismi sistemici di clientelismo e corruzione. Nella visione paretiana, la degenerazione o la corruzione non è una componente incidentale dei governi, ma una necessità strutturale: le oligarchie devono “corrompere o cooptare” per mantenere il controllo, riciclando retoriche idealistiche per giustificare privilegi. La alternanza delle élite – sostituzione di gruppi dominanti decadenti con nuovi – non elimina la concentrazione del potere, ma riproduce la stessa logica oligarchica, anzi può esasperarne gli effetti come stiamo vedendo in America e nel mondo con l’avvicendamento fra Trump e Biden.

Pareto osservava che le democrazie, dietro il paravento dell’uguaglianza, nascondono una “brama di potere” delle classi dirigenti. Questo approccio interpreta la politica come competizione per le risorse e il potere, dove la corruzione funge da lubrificante per l’equilibrio del sistema. La sua teoria rimane un riferimento per analizzare le contraddizioni tra ideali democratici e pratiche di governo: contraddizioni che oggi vediamo in modo plateale nelle decisioni clamorosamente contrarie a ogni buon senso e alla volontà dei cittadini e imprese, come per esempio la scelta Europea di allocare enormi risorse per spese militari. Fare debiti per comprare armi, invece che sviluppare investimenti sulle necessità vitali della gente, del rilancio produttivo, della ricerca della pace internazionale e del vero bene comune.
Le conseguenze nelle attività istituzionali
Diretta conseguenza dell’elitismo è la mancanza di capacità da parte dei governi di elaborare strategie. A parte quelle preordinate alla propaganda autoreferenziale finalizzata a raccogliere e imporre consenso. Altra conseguenza è l’incoerenza, la volatilità, la contraddittorietà delle loro azioni: vedasi frammentazione di tutti gli schieramenti nel recente voto sul riarmo europeo. La corruzione della democrazia e dei governanti, nel senso in cui scrive Pareto, determina l’asservimento delle decisioni agli interessi autoconservatori delle élite dominanti, e si declina a cascata sull’inefficienza delle istituzioni e degli apparati subalterni, come accade da noi con Ministeri, Regioni , Enti Locali, Agenzie di Sviluppo, apparati burocratici.
Il nostro sistema export per esempio
Per esempio cosa sta accadendo nel sostegno all’export, la cui importanza nel nostro paese, tipicamente trasformatore ed esportatore è vitale, e viene quindi quantificata al 40% del PIL? Accade che la strategia di internazionalizzazione del paese è polverizzata in una miriade di microiniziative, scoordinate tra loro, senza altra idea guida che non la propaganda agli apparati istituzionali: il focus sono obiettivi autoreferenziali e astratti come lo sport, la tournee dell’Amerigo Vespucci, l’expo di Osaka, le giornate autocelebrative del Made in Italy, dell’internazionalizzazione, della pasta italiana nello spazio, o addirittura su Marte. Tutto questo mentre tutto il mondo cerca Made in Italy vero e non lo trova. Il nostro sistema lamenta l’Italian sounding, si strappa le vesti per i dazi USA, ma non sa o non vuole attivare nuove idee e nuove iniziative per sostenere su altri mercati gli esportatori di prodotti nazionali autentici, specialmente le PMI. Queste ultime non hanno problemi a trovare clienti esteri: richiedono solo competenze e supporto finanziario, logistico, organizzativo, per portare a terra i prodotti italiani e renderli davvero accessibili ai consumatori internazionali, che non li trovano sui canali di vendita dei loro paesi.
Le risorse destinate a sostenere lo sviluppo del paese sotto forma di sostegno alla manifattura, all’export e all’innovazione sono destinate nella stragrande maggioranza alle potenti lobby industriali dei grandi operatori internazionali, e ora si propone di dirottarle agli investimenti in armamenti, i quali, come recentissimamente ha confermato lo stesso governatore della Banca d’Italia, sono improduttivi. La verità è che le risorse destinate alle PMI sono briciole, e continuano a diminuire progressivamente: sia per export, che per innovazione, che per investimenti. Al Sud se non fai investimenti di almeno 200.000 euro non puoi neanche accedere ai benefici fiscali della ZES Sud. I bandi voucher per export e TEM sono fermi. I fondi PNRR per cultura e impresa idem. Le PMI sono escluse anche dal recente decreto riduzione bollette, come se i loro costi non fossero aumentati di 4 volte. Le nostre èlite si muovono in piena coerenza con la visione “democratica” di Pareto.

Il recente documento ufficiale con le strategie per il Made in Italy ricomprende tutto meno che una vera strategia. E’ talmente asettico che sembra fatto con ChatGPT, in modo da dare al Ministro di turno 51 pagine da leggere nel corso del rito della Cabina di Regia, che si ripete stancamente da 13 anni, con la presenza delle èlite dell’export: agenzie associazioni e apparati democraticamente coerenti con l’illusione di Pareto. Se volete potete leggerlo qui.
Resistere
Quindi? Sono giorni difficili, nei quali imprenditori, professionisti, e aziende devono essere consapevoli che la qualità e la reputazione del prodotti, della cultura, e della tecnologia italiane sono di gran lunga superiori alla qualità espressa dai rappresentanti che abbiamo eletto democraticamente. L’errore che non dobbiamo commettere è quello di arrenderci a visioni manipolate da stampa e media, per disseminare ansie, paure, e costruire consenso a decisioni che passano sopra la nostra testa, come già è successo.

E’ un momento in cui le aziende italiane devono mantenere i nervi saldi. Le opportunità possono essere maggiori delle minacce per le PMI italiane, se sapranno reagire sfruttando la loro flessibilità e ricorrendo all’export collaborativo. Se avranno la capacità di aggregarsi, collaborare, innovare, acquisire adeguate competenze, il sistema delle PMI può trasformare in vantaggio la piccola dimensione, e reimmaginare l’export trainato da una nuova visione illuminata nella quale sono le PMI il vero traino dell’economia e del futuro del paese. I grandi numeri che vedono crescere il fatturato dell’export nazionale non si sono tradotti in reale beneficio del paese. Al contrario, come dice Pareto, il 20% del fatturato export generato dalle PMI può rappresentare l’80% del beneficio per l’Italia.
Giuseppe Vargiu
Presidente Uniexportmanager
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