È l’Europa che si fa male da sola. Non è un pericoloso comunista putiniano a dirlo, è l’ex primo ministro italiano e governatore della BCE, in una intervista al Financial Times.

Mi tocca per una volta essere d’accordo con Draghi quando dice che è l’Europa a imporre  a imporre dazi su se stessa che costano molto di più della guerra commerciale scatenata da Trump. Le barriere interne equivalgono a dazi del 45% sul manifatturiero del 110% sui servizi. Al tempo stesso Bruxelles ha consentito alla regolamentazione di ostacolare la crescita delle imprese tecnologiche, bloccando gli aumenti di produttività. Nelle ultime settimane non è cambiato il mondo: semplicemente l’America ha gettato la maschera ed è diventato evidente come valori di solidarietà, diritto internazionale, tutela dei paesi aggrediti, democrazia, principi umanitari, etica , atlantismo a difesa dell’Europa  sono stati solo  pretesti  per prendere in giro governanti europei e indurli ad agire contro  gli interessi dei propri cittadini. La guerra in Ucraina per difendere la democrazia e l’impero del bene dall’invasore Putin, aveva l’obiettivo (raggiunto) di distruggere  l’integrazione economica   tra Russia ed Europa e rimuovere  il vantaggio competitivo che il gas russo a basso costo assicurava all’industria europea, Germania  in prima fila, con benefici a seguire per  Francia e Italia. Ora il gas importato dagli USA ci costa 4 volte tanto: vedi bollette. Adesso dicono che l’Ucraina può tranquillamente diventare russa. E se vuole altre armi le deve pagare 500 miliardi in terre rare. E l’Europa, dopo aver speso 150miliardi per sostenere la guerra per procura fatta dagli ucraini per gli americani  non solo è tagliata fuori da ogni trattativa, ma sarà  obbligata a fare un nuovo PNRR per comprare (dall’america) armamenti e per  ricostruire la martoriata Ucraina.

I governanti che abbiamo eletto e mandato in Europa hanno sostenuto una guerra  persa in partenza, fatta contro i nostri interessi, costata centinaia di migliaia di morti russi e ucraini, che  ha mandato in rovina l’economia europea.

Ora questi governanti, che dell’asservimento atlantista avevano fatto la loro bandiera sono accusati dal capo dell’impero del bene di essere non alleati ma traditori  contro i quali viene dichiarata la guerra commerciale.

Mentre accordi internazionali economici e politici  si concludono sopra la nostra testa  scatta la guerra dei dazi, che paradossalmente  punisce più l’Europa alleata dei nemici tradizionali degli USA.

Ora VDL, in combutta con la Nato, ci dice che faremo un nuovo PNRR  per portare al 5% la spesa per gli armamenti. Una cosa è certamente persa: la credibilità di quelli che d’ora in poi ci diranno che non ci sono soldi per la sanità, per la scuola, per il bene comune di cittadini e impresa. Nessuno dice che è l’Europa, l’Italia in primis, che vanno ricostruite dalla devastazione, burocratica, ambientale e guerrafondaia e affrancata dal vassallaggio e dall’asservimento ai giganti e alle oligarchie

Nel contesto del business internazionale, assistiamo infatti al crescente e sempre più preoccupante predominio di pochi grandi operatori che controllano una fetta significativa del mercato globale. Questa concentrazione di potere non solo influenza le dinamiche economiche, ma ha anche ripercussioni sul bene comune e sul commercio delle piccole e medie imprese (PMI).

Sempre più numerose sono le  industrie  dominate da conglomerati multinazionali che, grazie a risorse finanziarie e tecnologiche superiori, riescono a imporre le proprie regole del gioco. Questi grandi attori economici possono:

Stabilire prezzi: Con il loro potere d’acquisto, possono fissare i prezzi a livelli che le PMI non possono sostenere.

Controllare la distribuzione: Hanno accesso a reti di distribuzione globali che escludono spesso i piccoli produttori.

Influenzare le politiche: Grazie alla loro influenza economica, possono esercitare pressioni sui governi per ottenere normative favorevoli e influire su elezioni e attività belliche.

Impatti sul Bene Comune: La predominanza di pochi grandi operatori ha conseguenze dirette sul bene comune:  La competizione viene soffocata, portando a una diminuzione della qualità e dell’innovazione.

Disuguaglianza economica: Le PMI, specialmente nel madeinitaly,  rappresentano la spina dorsale dell’ economia , faticano a sopravvivere, contribuendo così all’aumento delle disuguaglianze.

Le PMI svolgono un ruolo cruciale nell’economia globale. Tuttavia, il loro accesso ai mercati internazionali è limitato da vari fattori:

Barriere all’ingresso: Le PMI fronteggiano costi più elevati per entrare in mercati dominati da grandi aziende,

Difficoltà di networking: le grandi aziende hanno reti consolidate, le PMI spesso mancano delle connesioni necessarie per espandere il loro raggio d’azione.

Le PMI hanno difficoltà ad accedere ai finanziamenti necessari per competere con i giganti del settore.

Per affrontare questa situazione e promuovere un ambiente commerciale più equo, non servono ponti fra USA e Bruxelles,  serve un fronte comune che individua come controparte le oligarchie sovranazionali e le combatte, cosi come stanno facendo  contro di noi gli “alleati” americani,  invece di asservirsi ad esse. Fondamentale adottare nuove strategie: i governi dovrebbero implementare politiche fiscali e normative che favoriscano le piccole imprese, Promuovere  la cooperazione e Creare reti di collaborazione; Incoraggiare pratiche commerciali sostenibili può aiutare le PMI a differenziarsi dai grandi operatori.

Le nuove guerre commerciali internazionali si confermano più aggressive e imprevedibili che mai, e disegnano un escalation protezionistica che ridisegna la geografia degli scambi mondiali. L’Italia assiste passivamente, incapace di trovare una nuova collocazione che, dopo la deglobalizzazione, vede frantumarsi anche un atlantismo commerciale sul quale molti si erano adagiati e  illusi. Le aziende devono fronteggiare anche il calo della domanda internazionale, e sono di fronte  a sfide e obiettivi sempre più difficili. Non esistono   bacchette magiche, né soluzioni miracolose, ma nessuno  può sottrarsi a questa sfida epocale.
La scossa che stiamo ricevendo deve indurre il  rilancio economico industriale e finanziario dell’imprenditorialità diffusa e della cultura e tecnologia italiana ed europea. Una  visione che  veda uniti  27 paesi che raggiungano l’accordo non nel comprare armi (gli eserciti europei insieme  già costano insieme 4 volte più  di quello russo), né  su  stupide scelte burocratiche o strategie ambientali autolesionistiche, ma nel ricostruire un’ Europa nella quale il bene comune dei cittadini e delle imprese , e il ripudio della guerra , sono i valori dominanti.