Il castello nell’anno 1000 era una struttura capace di difendere la popolazione, e soprattutto di soggiogarla: perché il ricco padrone del castello offre protezione, ma in cambio pretende  rispetto e obbedienza, e condiziona a suo piacimento la vita dei suoi vassalli e servi della gleba. Ci spiega il feudalesimo Alessandro Barbero in questo video, seguito dal commento di Gianluigi Bonanomi.

I castelli moderni sono le piattaforme dei colossi digitali, che ospitano gran parte delle nostre attività, del nostro tempo e del nostro lavoro, ma in cambio condizionano la nostra vita e ne sono diventati padroni. Voi tutti che leggete questo articolo, e io stesso che lo scrivo, siamo vassalli del cloud capital o servi della gleba/cloud, siamo i nuovi proletari e offriamo gratuitamente il nostro tempo, la nostra attenzione, il nostro lavoro ai padroni del cloud. Per esempio: voi pensate di scegliere liberamente cosa leggere, cosa seguire, cosa imparare? Non è così: è un algoritmo sapientemente manipolato che decide cosa dovete leggere o ascoltare on line. Pensate che l’intelligenza artificiale vi porti conoscenza? Non è così: qualcuno elabora i vostri quesiti, si impadronisce delle vostre idee, le archivia in immense basi dati e se ne serve per propri scopi. Non si tratta più solo essere monitorati per ricevere proposte commerciali. Ormai siamo tutti privati della nostra identità e della nostra autonomia personale, perché ogni cosa che dobbiamo fare passa attraverso i permessi e il beneplacito  dei vari Google X, Amazon, Microsoft, che ci accettano sui loro feudi, sorvegliano i nostri movimenti, condizionano i nostri comportamenti. Questo furto è perpetrato non dai governi, bensì da entità sovranazionali ai quali gli stessi  governi sono sempre più asserviti, perché neanche loro possono fare a meno dei sistemi digitali. E’ quello che Yanis Varoufakis – ex ministro greco dell’economia, chiama Tecno-Feudalesimo.

Siamo alla fine del capitalismo? Credo do no, ma è in atto un drastico allontanamento dai meccanismi convenzionali del capitalismo e dai suoi attributi quali competitività, concorrenza, e innovazione, e siamo passati ad una nuova era che presenta caratteristiche feudali inquietanti.

Il capitalismo è imploso, le sue basi , il profitto e il mercato – non sono più fondamentali. Le Big Tech prima si sono appropriate di internet, e dopo hanno esteso sempre più il loro controllo sulle nostre vite e sulle leve economiche della nostra società. I padroni del cloud non hanno bisogno di marketing o di  vendere prodotti: questo è un problema che lasciano ai capitalisti di vecchia generazione, quelli che per produrre e fare profitto hanno bisogno di lavoratori: questi ultimi sono diventati loro vassalli, perchè sono costretti a passare attraverso il cloud e i suoi padroni per vendere e per incassare.

I grandi monopolisti del passato, i Rotschild, gli Agnelli, Henry Ford, le vecchie multinazionali, avevano costi altissimi per pagare tasse (o tangenti e finanziamenti) ai governi, per distruggere i concorrenti, per compensare il personale, per produrre e vendere i loro prodotti. Il cloud capital non ne ha bisogno: il personale delle big-tech incide l’1% rispetto al quello della manifattura, pagano tasse dove e quanto vogliono loro, beneficiano di potere illimitato, e tutti noi lavoriamo gratuitamente e creiamo per loro plusvalore e rendite derivanti dall’essere diventati padroni delle strade dove ormai passa l’economia.

Nel tempo Il cloud capital ha ucciso i mercati e li ha sostituiti con una sorta di feudo digitale in cui non solo i proletari – i precari – ma anche i borghesi producono plusvalore per i capitalisti vassalli. Stanno producendo rendite. Stanno producendo la rendita del cloud, che è il contrario del profitto, perché il sistema economico è ormai un feudo dei proprietari del cloud capital. Oggi i proprietari del cloud capital non hanno  soltanto monopolizzato  mercati,  li hanno completamente sostituiti. Il tecno-feudalesimo è parassitario, e trae il sostegno dal settore capitalista proprio come gli antichi feudatari necessitavano dei servi della gleba per assicurarsi un approvvigionamento alimentare. Esso richiede comunque l’esistenza della produzione capitalistica classica. Amazon ha ancora bisogno che i produttori costruiscano merci da vendere sulla sua piattaforma. Uber e Tesla richiedono veicoli fisici. Il punto è che il plusvalore è prodotto nel settore capitalista, ma poi viene usurpato. Se ne appropria il cloud capital, e la generazione e moltiplicazione del valore viene fatta da persone che nel tempo libero lavorano senza retribuzione, interagendo nel cloud. Che siamo noi. I nuovi servi del gleba-cloud.

La visione di Varoufakis che qui ho cercato brevemente di richiamare può non essere condivisa ma deve farci riflettere, soprattutto coloro che studiano, fanno impresa, politica,  e business internazionale e vivono nel cloud a immersione totale. I pericoli che l’avvento del nuovo sistema del tecnofeudalesimo rappresenta per la vita dei singoli individui e per la sopravvivenza delle democrazie sono vieppiù evidenti con l’emergere dei due poli egemonici USA e Cina, il cui conflitto è all’origine della crisi che attanaglia la nostra economia e della guerra mondiale che di fatto è in corso, e non solo a pezzi. Come dimostra la recentissima crisi legata all’arresto della giornalista italiana in Iran, rappresaglia per l’arresto  di un imprenditore iraniano in Italia.

Il sistema è sempre più instabile, ancora più incline alla crisi, e ancora più contraddittorio. E’ sempre più difficile muoversi quando le nostre società son sempre più cariche di conflitti, e si perdono valori comuni che erano patrimonio sia della sinistra che della destra, ma anche valori di pace, umanità, di civiltà, di buon senso. Non ci aspetta un anno facile. Per le aziende che vogliono guardare al futuro l’angoscia è lo stato d’animo più diffuso, perché non si vedono molti punti sui quali fare riferimento: ma quale che sia la visione del sistema, chi fa il lavoro di imprenditore, consulente di impresa,  manager, ha il dovere di essere positivo.

Per i grandi operatori dell’industria, commercio, e distribuzione, (anche loro sono vassalli obbligati dei cloudalist) è tutto più facile, malgrado la recessione, perché se è vero che con la recessione in atto rischiano certamente di più in valore assoluto, è altrettanto vero che sono loro i principali beneficiari dei sostegni erogati dalle istituzioni per innovazione ed export. Per le PMI è molto più difficile governare la barca in un mare incerto e tempestoso, anche perché il sostegno di cui dovrebbero beneficiare non le raggiunge: resta drammatica la carenza di cultura imprenditoriale e competenze qualificate di export e innovazione. Saremo anche il quarto paese esportatore del mondo, come ci ricorda instancabile la propaganda dei media, ma le aziende esportatrici sono poco più dell’1%.

E molti si illudono di esportare o fare sviluppo business internazionale perchè vendono su piattaforme che si appropriano in pratica di tutto il loro valore aggiunto. Una cosa è certa, lo diceva Aristotele: chi pensa di fare da solo o è bestia o è Dio. E di dei ne vedo molto pochi. Non possono far da soli, non solo le PMI ma in particolare i governi e gli esponenti di istituzioni pubbliche e associative che pensano che la cosa migliore sia una propaganda illusoria, volta a passare il messaggio che tutto va bene, e che le cose nel nostro paese non potrebbero andare meglio. Interagiamo con loro in tutti i modi. Partecipare ai convegni non è sparare dal palco un pistolotto con le solite banalità, come purtroppo abbiamo visto fare da molti. Si tratta di sfruttare questi momenti per ricordare ai potenti che le cose possono e devono andare meglio. Soprattutto nell’export e nell’internazionalizzazione delle PMI del Made in Italy. Serve gente nelle istituzioni, nelle associazioni, nelle imprese, che lavori con il desiderio di rendere l’Italia un posto migliore.

Esistono iniziative visionarie, che portano una rinnovata visione dell’export e dell’innovazione (che deriva dal latino in nova agere). Parliamo dei programmi 2025 delle associazioni Uniexportmanager, FederItaly, AssoretiPMI, Ampioraggio , Jazz’inn. Parliamo anche di istituzioni come MAECI, MIMIT, SACE, Simest, ICE, CDP, Regione Lombardia, Provincia di Trento, Trentino Sviluppo, UNI, al mondo camerale e delle associazioni datoriali ai quali abbiamo presentato i nuovi modelli di export collaborativo e partnership pubblico privata espressione concreta del pensiero Export Italia 2030. La gente dell’export che segue questa newsletter qualche volta è in disaccordo, ma ci segue perchè sa che lavoriamo per migliorare l’export con il desiderio di rendere l’Italia un posto migliore. Lo facciamo, anche quando affrontiamo temi difficili e anche quando cediamo tempo e valore ai padroni del cloud. Forse non possiamo uscire dal tecno feudalesimo dove siamo rinchiusi, ma consentitemi di condividerne la consapevolezza e di pensare positivo per il futuro.

Grazie per seguirci e per condividere questa newsletter. Buon Anno!
Giuseppe Vargiu,
Presidente Uniexportmanager