Non si riesce proprio a capire come tantissime persone intelligenti siano convinte che in Italia o in Europa cambierà  qualcosa se dalle elezioni americane risulterà eletto Donald Trump oppure invece Kamala Harris. Non saranno certo loro a cambiare l’America e tanto meno la storia. La storia si sta infatti ripetendo: gli ateniesi volevano riconquistare l’egemonia e sconfiggere Sparta che però era appoggiata dai persiani, alla fine nell’Ellesponto vi fu una battaglia navale che segnò la sconfitta di Atene.

Tucidide, chi era costui?

Questo schema si ripete oggi fra USA e Cina, ed è chiamato La Trappola di Tucidide. Così scrive Francesco Sylos Labini, attualizzando il tema: nel 1948 gli Usa avevano il 50% della ricchezza mondiale e solo il 6% della popolazione: il loro scopo è sempre stato quello di mantenere questa disparità. Oggi, la quota della manifattura cinese è pari a quella degli Usa e dell’Europa messe assieme; la Cina è diventata il maggiore esportatore di automobili, maggior produttore di panelli solari, e ha una produzione di acciaio in continua crescita. Negli ultimi trent’anni sono state costruite intere città, è stata sviluppata una gigantesca rete di treni ad alta velocità e per ogni nave costruita in America, in Cina ne vengono costruite 250. La Cina è diventata leader nei brevetti in quasi tutti i settori tecnologicamente avanzati, è in testa per gli articoli scientifici, nelle classifiche delle istituzioni accademiche, per la quota di laureati nelle materie tecnico-scientifiche e per l’esportazione di prodotti ad alta tecnologia. Dagli anni 90′ si è accelerata la crescita del debito pubblico americano e degli interessi – nel 2023 il debito è arrivato a 35 trilioni di dollari e gli interessi a un trilione. Gli USA stanno perdendo il ruolo egemonico mondiale che hanno avuto dopo il  crollo  dell’Urss e questo è il loro grande problema. Non è questione di Harris o Trump. Le tensioni attuali sono dovute alla lotta per il controllo delle risorse, della scienza, della tecnologia e della moneta. Come risultato, vediamo l’assurdo ricorso all’armamento e l’aumento della mentalità di guerra e delle spese militari. Sono questi i veri motivi che stanno dietro le guerre in corso sostenute dagli americani con l’osceno vassallaggio bellicista dei governanti europei. L’Europa ignava e autolesionista sta già sta pagando care le devastanti conseguenze del suo sostegno in direzione di una catastrofe bellica nucleare.

I problemi della Volkswagen ne sono la prova. Lo spettro della deindustrializzazione tormenta la Germania dallo scoppio della guerra in Ucraina, quando le sanzioni contro la Russia portarono al blocco del gasdotto Nord Stream e al forte aumento dei prezzi dell’energia. La Volkswagen non è l’unica vittima. Miele (produttore di elettrodomestici) sta trasferendo parte della produzione in Polonia. Continental, fornitore di componenti automobilistici, sta fermando la produzione e tagliando 7.000 posti di lavoro. Michelin ha tagliato 1.500 posti di lavoro in Germania e chiuderà fabbriche. Con buona pace della subfornitura italiana che finora ha trovato in Germania il suo principale canale di sbocco.

L’Italia si distingue facendo valere il suo punto di forza più grande: la cultura e l’arte. Ecco come: il MIMIT, per caratterizzare il nuovo francobollo ordinario dedicato “al patrimonio artistico e culturale italiano” nella Giornata della Filatelia ha scelto un famoso Pokemon giapponese, che è tutto fuorché italiano. E’ come se per celebrare la Giornata del Made in Italy proponessimo un tasting di porridge o di sushi.

Questa è solo una nota di colore. I punti dolenti sono altri, a cominciare dalla competitività delle piccole imprese e del digitale sempre più esaltate e sempre meno sostenute nei fatti:

Per le piccole imprese digitali, le uniche sostenibili, le uniche costrette a impegnarsi per sopravvivere in una vera transizione ambientale e digitale, si sono inventati la tassa del 3% sul fatturato. Avete capito bene: la proposta di riforma della web tax che dovrebbe essere introdotta dalla Legge di Bilancio 2025, prevede l’estensione della tassazione al 3% per tutte le aziende che operano nel digitale, e non più soltanto per quelle che fatturano 750 milioni di euro a livello globale e che percepiscono ricavi da servizi digitali non inferiori ai 5,5 milioni in Italia. Insomma, il miglior modo per ostacolare l’innovazione e la crescita economica e una ragione di più per spingere giovani e startup ad andarsene dall’Italia.

40 miliardi sono appena stanziati dall’Italia di spese militari dei prossimi anni. Il disegno di legge di bilancio presenta tagli devastanti non solo alla già martoriata sanità, azzera anche il fondo imprese creative e digitali, riduce al minimo i sostegni per la competitività delle imprese, a meno che non siano impegnate nella filiera delle armi. Abbiamo visto su Report gli export manager delle aziende israeliane espositrici alla fiera degli armamenti vendere morte vantandosi dell’efficienza delle loro armi, ed esibire il vantaggio competitivo che erano state testate sul campo facendo strage di bambini e civili indifesi a Gaza. C’erano anche espositori italiani: l’Italia è il quarto paese esportatore di armamenti: alla faccia del dettato costituzionale per il quale l’Italia ripudia la guerra.

Ricordiamolo quando i megafoni mediatici della propaganda si gloriano della grande crescita del nostro fatturato all’esportazione. Esportare armi significa esportare morte, ed essere complici degli interessi prima economici che geopolitici che sono alla base delle guerre e di genocidi in corso – non solo in Ucraina e Palestina. Si dirà: l’industria bellica crea lavoro e tecnologia. E’ verissimo. Anche l’industria della droga lo fa, anche se rende meno delle armi. Tutti teniamo famiglia, e non so voi, ma io non vorrei mai scoprire che tra le migliaia di export people che seguono questa newsletter c’è un export manager della droga. E nemmeno delle armi.

Dice Sun Tzu, nell’Arte della Guerra:

I guerrieri vittoriosi prima vincono e poi vanno in guerra, mentre i guerrieri sconfitti prima vanno in guerra e poi cercano di vincere”. Siamo entrati in guerra da due anni e mezzo non mi sembra che siamo fra i guerrieri vittoriosi. Anche perché le guerre dei governanti asserviti agli interessi economici sovranazionali non sono le nostre guerre: non possiamo vincerle. La guerra delle piccole imprese italiane, e di chi cerca si sostenerle apportando competenza e buoni consigli, si vince con il lavoro positivo per il bene comune, nell’aggregarsi, collaborare, fare rete. E anche non farsi manipolare o distrarre dalle bugie della narrazione mediatica dominante. Dobbiamo avere il coraggio di essere anche irriguardosi quando serve a migliorare il sistema; Quando il re è nudo, bisogna che qualcuno glielo dica. Grazie per leggere questa newsletter, lavoriamo per migliorare l’export.

Giuseppe Vargiu,
Presidente Uniexpotmanager