I paradossi sono asserzioni che appaiono incongrue, assurde, o non ragionevoli, formulate in apparente contraddizione con l’esperienza comune o con i principi elementari della logica, ma che all’esame critico si dimostrano valide. Per esempio:

«Lo so di mentire, dico la verità»

Oppure il famoso Comma 22:

«Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo.»

Il paradosso della prosperità dell’export è  la contraddizione per la quale tutto il nostro paese, i media, e il gotha delle grandi imprese industriali esulta per la importante crescita dei numeri dell’export, mentre allo stesso tempo tutti percepiscono e l’Istat ci conferma il calo dei  redditi. Per approfondire. Ma se l’export contribuisce in modo inefficace alla  crescita del paese che altro si può fare?

La maggior parte degli schemi calati negli ultimi 10 anni dalle istituzioni per migliorare l’export e sostenere la crescita economica delle imprese di minore dimensione sono sbagliati, perché basati semplicemente sull’immissione di aiuti economici (che non sono pochi ma sono dirottati in massima parte sulle aziende già esportatrici o internazionalizzate, senza nessuna trasparenza e nessun monitoraggio sui risultati), e sul sostenere le fiere oppure finanziare  piattaforme nelle quali la visibilità delle nostre piccole imprese è minima.

Il risultato è che da 10 anni a questa parte il numero delle imprese esportatrici è invariato, più o meno 130mila su 4milioni. E qualcuno da la colpa a loro, come se fosse una scelta degli imprenditori quella di non crescere e di non internazionalizzare. In realtà è spesso il sistema che incentiva a non crescere sostenendo con microincentivi irrisori erogati a pioggia il nanismo delle aziende. In Italia sono ancora in maggioranza le aziende che impiantano l’export su pochi  vecchi clienti, si svenano con le fiere, si vantano di avere una strategia, quando invece si limitano ad aspettare improbabili agenti a provvigione o andare col cappello in mano alla ricerca di distributori che praticano condizioni da usura per ospitarli nei loro canali. Queste aziende sono spesso vittima di organizzazioni che fanno mirabolanti promesse, che illudono le aziende che basti spammare a prodigiose liste di importatori o telefonare ai buyer una volta la settimana per sviluppare il business internazionale.

L’export cresce ma i redditi diminuiscono e allora? Esportiamo in perdita? Esattamente. I nostri governanti dovrebbero capire che è ora di finirla con la visione della propaganda nella quale la spartizione dell’esistente sovrasta tutto e spegne qualsiasi tentativo di far nascere  scintille in grado di creare nuovo valore. Per esempio, quale nuovo valore viene creato dai G7 fatti in serie e dai grandi eventi a uso e consumo del circo mediatico, della propaganda, e dei  consulenti di grandi eventi, che abbiamo visto chi sono?

In questi giorni si tiene il G7 Cultura a Napoli e Pompei, e un altro G7 su Pesca e Agricoltura. G7 kermesse, che si tiene a Ortigia, il ministro – ci dice Il Foglio – ha preteso nove giorni di vanità sfrenata, una marcia civile, la presenza delle partecipate di stato, le coreografie del maestro Peparini, dell’étoile Eleonora Abbagnato e di Michele Satriano, primo ballerino dell’opera di Roma. Si emette pure un francobollo G7 Agricoltura. Siamo contenti, Ortigia è bellissima e unica. Napoli e Pompei non ne parliamo! ma dopo? Dopo le foto di gruppo e le parate di rito, mi sapete dire quale sarà il beneficio per lo sviluppo delle nostre aziende alimentari, turistiche, culturali? ZERO. Se mi sbaglio qualcuno mi faccia un bilancio onesto e trasparente e sarò felice di ricredermi.

Come si aiuta un piccolo produttore di pasta o dolci tipici a competere con Barilla o con Ferrero, vere e proprie multinazionali che sempre meno producono in Italia? Quando i megafoni istituzionali dei G7 ci dicono che stiamo bene perché l’export cresce, ci dicono una grande bugia.

Da questo approccio deleterio si esce sostituendolo con l’introduzione di un nuovo modello di crescita economica basato sull’imprenditoria dei piccoli, sull’associarli e metterli in rete, sul diffondere una nuova moderna cultura  imprenditoriale nella quale l’export si fa con la collaborazione, l’innovazione, la competenza, la creatività. Un modello di export benefit, condiviso e collaborativo, che valorizza non soltanto  il profitto degli azionisti, ma il benessere e la stabilità di chi lavora, non danneggia l’ambiente, genera innovazione insieme a cultura e territorio, apporta anche valore sociale.

Dobbiamo lavorare per affermare una nuova teoria dell’export che apporti una distruzione creativa di quello cha palesemente non è valorizzato nel sistema paese. Una teoria che costituisca una utile guida per fare dell’Italia, un paese naturalmente produttore ed esportatore, che è il più bello e desiderato, un luogo più prospero e conseguentemente più equo ed inclusivo, con l’export delle piccole imprese che cresce veramente e si trasforma in bene comune.

Sono numerose e persistenti le iniziative per una nuova visione. Da qualche anno cresce l’attenzione alle tesi del Manifesto ExportItalia 2030, cui abbiamo dato vita perchè crediamo nel miglioramento continuo degli individui e delle idee come mattoni fondamentali della società e dell’economia, grazie all’innovazione. Sono 24 tesi per migliorare l’export, come ad esempio quella che defiscalizza gli utili che rientrano in Italia dalle operazioni di export e internazionalizzazione.

Iniziative di questo tipo sono accuratamente ignorate dai grandi media perché potrebbero disturbare gli interessi le e lobby dominanti che dettano legge ai Governi. Per esempio l’applicazione 100% Made in Italy dell’associazione FederItaly, che unisce la certificazione blockchain e la distribuzione nei ristoranti italiani all’estero.

O come lo sviluppo “disruptive” di migliaia di reti di impresa guidato da Assoreti PMI. Oppure come il festival Ampioraggio Jazz’Inn, che dal 7 ottobre riunirà a Merano l’innovazione dei piccoli borghi, startup, animazione territoriale, imprese creative, intelligenza artificiale, ed export manager in un festival unico dove trionfa uno “slow business” che diffonde relazioni, valore, bene comune. Ancora: Go International, a Milano il 25 e 26, una fiera dove l’incontro fra domanda e offerta di servizi per l’export si esalta e dove le persone si incontrano si confrontano, fanno #networking, fanno #exportcollaborativo, offrono nuove visioni e nuove idee allo sviluppo internazionale. Al di fuori degli stanchi rituali mediatici che piacciono solo allo show business.

Lo stand Uniexportmanager a Go-International sarà il fulcro di questa nuova visione dell’export, che attrae oltre 5.000 fra soci e membri della community degli export people e offre a professionisti e imprese una prateria di opportunità per fare un lavoro bellissimo: portare nel mondo i prodotti e i valori del Made in Italy autentico. Ci vediamo lì se volete: lavoriamo insieme per migliorare l’export!



Grazie per leggere e condividere questa newsletter.
Giuseppe Vargiu,
Presidente Uniexportmanager