Sempre interessante il rapporto Doing Export Report di Sace, che ogni anno analizza i principali trend e le previsioni dell’export mondiale. Quest’anno in Sace hanno coniato l’akronimo SPARKLING, per identificare aziende Smart, Proattive, Agili, Rivoluzionarie, Kinetiche, Leader, Innovative, Nuove (o che si rinnovano), e Green (non poteva mancare).

Vabbè, sono i mantra per le imprese esportatrici, e gli export people che da sempre trovate nelle newsletter del pensiero ExportItalia 2030, e ci fa piacere vederli articolati in questo report. L’acronimo è una bella trovata, forse ispirata al successo internazionale dei vini e spumanti italiani, e al fatto che bisogna festeggiare, dal momento che dopo un 2023 stagnante, si prospetta che nel 2024 l’export dei beni italiani tornerà a crescere (+3,7%). E’ una tendenza che si consoliderà nel 2025 con un +4,5%, arrivando a  quota 679 miliardi di euro. Secondo Sace, queste performance sui mercati internazionali passano anche attraverso l’innovazione tecnologica, trasversale a tutti i settori: dall’agricoltura ai macchinari, le maggiori occasioni di business arriveranno dall’evoluzione dei settori tradizionali a industrie del futuro, e il rapporto vede nella transizione green e nel digitale i principali motori di questa crescita, anche in ambito agroalimentare.

Sace sottolinea l’importanza di formazione e tecnologie digitali. Le imprese che hanno deciso di investire nella formazione prevedono, per il prossimo anno, aumenti di produzione in maniera più diffusa rispetto a quelle che, pur adottando il 4.0, non hanno puntato sulla formazione (36% vs 29%). In particolare, le imprese che usano strumenti di intelligenza artificiale hanno una probabilità maggiore di registrare un aumento dell’export nei prossimi anni. Tra i mercati di destinazione che si riveleranno più dinamici per il nostro export: Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, Singapore, India, Vietnam, Cina, Brasile, Colombia, Messico, Serbia, Turchia, Marocco, Egitto, e Sudafrica. “14 Paesi verso cui lo scorso anno si sono diretti circa 80 miliardi di euro di beni italiani, che cresceranno del 5,4% (vs 3,7% totale Italia) quest’anno e del 7% il prossimo. Fin qui il rapporto Sace, assolutamente da non perdere, che potete scaricare integralmente se volete anche dal nostro blog.

A questo punto è doveroso richiamare – anche questo  appena uscito –  il rapporto ‘Il Digitale in Italia 2024’ presentato da Anitec-Assinform in collaborazione con NetConsulting Cube. Le componenti tecnologiche più innovative Cloud, Cybersecurity, e Intelligenza artificiale, continuano a rappresentare il motore del mercato digitale. Il mercato digitale italiano ha registrato nel 2023 una crescita del 2,1%, raggiungendo un valore complessivo di 78,7 miliardi di euro, superiore alla crescita del PIL nazionale (+0,9%).

Dati che segnalano come l’avanzamento dei progetti del PNRR e i crediti di imposta 4.0 e 5.0, oltre all’adozione delle principali tecnologie abilitanti del digitale, stanno facendo aumentare, e faranno aumentare, gli investimenti nel settore. Massimo Dal Checco, recentemente nominato Presidente di Anitec-Assinform (ci complimentiamo), così commenta:

“Cavalcare lo sviluppo delle nuove opportunità del digitale superando le sfide macroeconomiche globali e gli ostacoli legati al contesto nazionale è molto complesso e richiede il continuo coordinamento tra iniziative e attori diversi. Ciononostante le imprese stanno dimostrando di credere nella capacità del digitale di abilitare crescita e competitività: le migliori dinamiche del mercato digitale rispetto a quelle economiche generali sono il segnale che occorre procedere sempre più speditamente sulla via dell’innovazione e degli investimenti nelle nuove tecnologie”.

Nel 2023, l’andamento generale del mercato digitale è stato positivo, facendo segnare una crescita del 2,1%. I diversi segmenti che compongono questo mercato hanno però avuto andamenti differenziati. Se da un lato i Servizi ICT hanno fatto registrare la variazione più rilevante (+9% e 16,2 miliardi di euro), dall’altro il mercato dei Dispositivi e Sistemi ha mostrato un calo significativo (-4,8%), mentre andamenti particolarmente positivi hanno caratterizzato anche i segmenti del Software e Soluzioni ICT (+5,8% e 9,1 miliardi di euro) e dei Contenuti e Pubblicità Digitali (+5,5% e 15,2 miliardi di euro). I Servizi di Rete TLC, invece, hanno avuto una variazione minima (+0,2%), invertendo però i trend negativi che li hanno caratterizzati gli ultimi anni.

“L’importanza del digitale non è solamente di natura economica ma anche sociale e ce ne possiamo rendere banalmente conto guardando a come il digitale stia ormai pervadendo la nostra quotidianità. Tuttavia, ciò che stiamo vivendo ora ha forse una rilevanza maggiore rispetto a quanto accaduto negli ultimi anni”.

Tornando al tema export e internazionalizzazione l’incredibile disponibilità di dati, l’utilizzo sempre più diffuso dell’Intelligenza Artificiale, anche se è ancora una tecnologia bambina in piena evoluzione, è sotto gli occhi di tutti. Si aprono scenari difficilmente immaginabili. Le potenzialità che la tecnologia ci sta offrendo sono senza precedenti. Resta il fatto che per sfruttarle, la priorità per le aziende e gli export e innovation manager deve investire in formazione, innovazione, cooperazione, e acquisire accesso alle competenze di un mercato internazionale che, come ci riporta Sace è sempre più complesso. Soprattutto le aziende medio piccole, il cuore del Made in Italy, hanno bisogno di acquisire competenze in export e innovazione.

Il sistema pubblico del Made in Italy a dire il vero sta facendo molto per sviluppare l’export e l’innovazione. Soprattutto l’impegno strategico dei ministeri MAECI e MIMIT, oltre che delle agenzie Simest, CDC, e del sistema bancario, è apertamente focalizzato sul sostegno all’internazionalizzazione delle aziende medio grandi. Qualcuno vede quasi con fastidio il fatto che nel paese vivano milioni di microimprese. Il problema è che quando si allarga la forbice tra le grandi imprese sempre più esportatrici, sempre più innovatrici e sempre più ricche, e le piccole imprese sempre meno esportatrici, meno innovatrici, e sempre più povere, il sistema Italia diventa una macchina a due velocità che non può funzionare.

Non serve a niente che aumentino gli autocompiacimenti (indotti dagli interessi dominanti che esprimono i governanti europei) sulla crescita dei grandi numeri se questi non apportano un contributo al bene comune della maggioranza di imprese e lavoratori. Gli interventi per favorire le PMI sono i microbonus di ICE e Invitalia (saranno pubblicati a giorni i beneficiari), o i microincentivi erogati da regioni e camere di commercio. Non può essere sufficiente restare ancorati al glorioso ma ormai superato modello TEM. Nel Sud le agevolazioni di zona franca richiedono una soglia minima di €200.000,00, il che taglia fuori la gran parte delle aziende che più ne avrebbero bisogno. Continua a mancare, da anni una visione di politica industriale, export, e innovazione che favorisca veramente la piccola impresa, le reti, il sostegno reale a chi crea lavoro e ricchezza. Non possiamo consolarci invitando le aziende a essere frizzanti, e nel frattempo invitarle a brindare ai successi dell’export delle grandi corporate.

Giuseppe Vargiu,
Presidente Uniexportmanager