La collera degli agricoltori sta bloccando l’Europa. Lo scenario geopolitico è tra i più pericolosi che abbiamo vissuto dalla seconda guerra mondiale: alla guerra ucraina si è aggiunta la crisi in Medio Oriente ed ora il blocco del Mar Rosso. Non va meglio quello economico o ambientale: si aggiungono costo dei mutui, siccità, alluvioni, e nel frattempo la burocrazia dominante europea e italiana non trova di meglio da fare che accanirsi su agricoltura e piccola impresa. In nome di una ideologia fatta di parole come transizione, ambientalismo, sostenibilità, green new deal, si impongono gravami senza senso che per la piccola impresa e per l’agricoltura ben poco hanno di ecologico, e tantissimo di antieconomico.

Ecco alcuni dei principi supinamente recepiti dai governi italiani (non solo l’attuale) per ridurre, fino a rimuovere, le produzioni agricole:

  • mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso la riduzione delle emissioni di gas serra, CO2, e la promozione dell’energia sostenibile;
  • favorire lo sviluppo sostenibile e un’efficiente gestione delle risorse naturali – anche attraverso la riduzione della dipendenza chimica;
  • arrestare e invertire la perdita di biodiversità e preservare gli habitat e i paesaggi.

Tutti assolutamente condivisibili, e condivisi di fatto dai nostri agricoltori.

Quando l’applicazione pratica è affidata a burocrati che del lavoro nei campi o della gestione delle piccole imprese sanno poco o niente nasce il problema. I principi si traducono in norme idiote che, partendo dal presupposto che «l’agricoltura e l’allevamento siano fonte di inquinamento e causa del cambiamento climatico» distruggono gli affari degli agricoltori imponendo soluzioni sempre più ”sostenibili” e sempre meno gestibili economicamente. Cosa fa il sistema?

  • sostiene accordi di libero scambio che favoriscono solo le grandi multinazionali e la delocalizzazione delle nostre imprese (il piano Mattei temo non farà eccezione), sta già andando in scena quella che sembra solo una sceneggiata, o una scatola vuota nel migliore dei casi. Tanto è vero che non ci credono neanche i Capi di Stato africani.
  • accetta che nostri prodotti subiscano un attacco scorretto – non si riesce a difendere le imprese più piccole dalle pratiche commerciali scorrette di aziende di altri paesi europei e del mondo.
  • si accanisce sui più piccoli e indifesi con aumento tasse e un fisco che invece di stanare gli evasori manda cartelle pazze ai contribuenti onesti.

Non certo su questa terra. La gente deve trarre sostentamento dal suo lavoro. ma come fa se il costo di produzione a causa dell’impatto burocratico diventa sempre meno sostenibile, e se gli stessi burocrati aprono la strada al grano ucraino che costa la metà, alla carne importata allevata chi sa come, all’olio di oliva prodotto senza criteri?

Nel frattempo continuiamo a vedere su stampa e TV spettacoli pietosi come questo. D’altra parte sono le stesse Marie Antoniette istituzionali a sostenere che i poveri mangiano meglio dei ricchi, se non hanno pane diamo loro brioche. I poveri mangiano meglio dei ricchi. Occorre aumentare i benefici a favore delle piccole imprese e possibilmente anche delle microimprese, tutelando il nostro “Made in Italy”. Fino a quando persiste un simile scollamento dalla realtà da parte del pensiero unico dei nostri apparati e delle nostre istituzioni, fino a quando i politici non si ricordano che sono stati eletti dagli elettori e non dai potentati che sostengono le loro campagne elettorali, alla fine le contraddizioni esplodono.

E’ la conseguenza di un pensiero burocratico europeo espresso e applicato da persone che mai hanno lavorato, e mai hanno fatto impresa, e che esprimono ideologie sempre più lontane dalle piccole imprese che sono il tessuto sul quale si fonda sia l’Italia che l’Europa. Questi signori, spesso in malafede (noi a pensare male si fa peccato ma…) o spesso per supponenza o ignavia (che è anche peggio) concentrano la loro attenzione sulle grandi filiere, sulle organizzazioni che hanno centinaia di migliaia di ettari lavorati dai moderni servi della gleba, sulle piattaforme digitali pagate dallo stato invece di sostenere la crescita delle aziende esportatrici o digitali.

Vengono imposte consapevolmente regole che, cumulate ad anni di crescita esponenziale dei balzelli burocratici, all’aumento dei tassi, alla chiusura del credito, al caro energia, semplicemente obbligano le piccole aziende a chiudere. Una transizione ecologica mal interpretata e costantemente ostentata ha fatto sì che il problema siano diventati agricoltori e piccola impresa.

Altrimenti invece di essere la soluzione le priccole aziende diventano davvero un problema! Ne ho parlato spesso in questa newsletter. Una corrente di pensiero accreditata dai nostri massimi strateghi e consiglieri governativi, che si dovrebbero vergognare a teorizzare e vagheggiare un sistema del Made in Italy senza piccole imprese. Queste sarebbero un inutile gravame che disturba le elitè internazionali che incombono sui governi (non solo il nostro) loro asserviti. Le aziende che continuano a produrre in Europa rispettando norme e protocolli internazionali sono svantaggiate. Non certo per la scarsa qualità dei loro prodotti e servizi, ma anche a causa di chi produce in altri stati o continenti senza il minimo rispetto dei requisiti ambientali e dei diritti di minori e lavoratori.

Oggi, in una autorevole conferenza, ho sentito un tale (qualifichiamolo così) dire che non esista differenza tra piccole aziende e grandi organizzazioni, ma solo fra aziende competitive e non competitive. Secondo voi era un imprenditore? Andasse lui col cappello in mano a chiedere al burocrate o al banchiere di turno risorse, competenze, e sostegni che il grande capitale e le multinazionali assicurano di default alle grandi strutture. Salvo poi fare utili sul nostro paese e non pagare le tasse. Così è molto facile essere competitivi.

Per fortuna anche nelle istituzioni, nelle associazioni, nelle aziende, esistono persone visionarie che ragionano con la propria testa, con buon senso, con la schiena dritta, senza paura di apparire schierati nell’ esprimere concetti idee e progetti di buon senso per il bene comune. Ecco, il punto è tutto qui: portare competenze, sostenere e accrescere la competitività e l’export delle Piccole Imprese del Made in Italy. Sta nascendo qualche cosa di molto bello: abbiamo visto all’incontro di Wine in Venice pochi giorni fa e ci stiamo lavorando. State connessi a questa newsletter e avrete presto buone notizie. Sosteniamo la lotta degli imprenditori e della gente che lavora: sono tantissimi e quando il popolo si desta… stiamo vedendo che succede. Non è che vogliamo protestare anche noi con i trattori, ma condividiamo tutta la rabbia degli imprenditori stufi di essere presi in giro e abbiamo idee molto chiare su come risolvere i problemi senza distruggere l’agricoltura o la piccola industria.

Grazie per leggere e diffondere questa newsletter: lavoriamo insieme per migliorare l’export e il Made in Italy.
Giuseppe Vargiu,
Presidente Uniexportmanager