Davvero potevamo aspettarci l’enunciazione di strategie dalla Conferenza Nazionale dell’Export e dell’Internazionalizzazione delle imprese – dal tema: “Quali strategie per continuare a crescere in uno scenario globale in profondo mutamento“? Quella che è in pectore la prima giornata del Made in Italy si è tenuta a pochi giorni dalla presentazione del rapporto Censis, che così fotografa la società italiana:

“I SONNAMBULI Ciechi dinanzi ai presagi: alcuni processi economici e sociali largamente prevedibili nei loro effetti sembrano rimossi dall’agenda collettiva del Paese, o comunque sottovalutati. Benché il loro impatto sarà dirompente per la tenuta del sistema, l’insipienza di fronte ai cupi presagi si traduce in una colpevole irresolutezza. La società italiana sembra affetta da un sonnambulismo diffuso, precipitata in un sonno profondo del calcolo raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali, di lungo periodo, dagli effetti potenzialmente funesti”.

L’iniziativa, promossa e organizzata dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, e presieduta dal ministro Tajani, con la dichiarata autocandidatura ad essere la prima “giornata del Made in Italy”, è stata luogo di confronto e dibattito tra i rappresentanti delle agenzie di sostegno pubblico all’export, gli esponenti del mondo associativo, e i vertici delle grandi imprese, sulle strategie per rafforzare la presenza del sistema economico italiano sulla scena internazionale in un contesto globale in continuo mutamento. Era imponente il panel di relatori riunito a Roma all’auditorium del Parco della Musica, con tutti i referenti del Sistema Italia: c’erano ICE, SACE, Simest, CDP, i rappresentanti delle Associazioni Imprenditoriali delle PMI, delle Camere di Commercio, delle Banche, della Finanza, di Confindustria, delle Grandi imprese internazionali. C’era anche l’Università. Tutto il cocuzzaro dell’export, insomma.

4 sessioni, incentrate sui temi: Le nuove sfide del Sistema Paese; Come espandere le PMI esportatrici; Focus sul mercato dei capitali italiano; Il ruolo delle grandi imprese. Per chi gli avanzano 4 ore e mezza e ha voglia di sentire la registrazione, qui il riferimento Youtube.

Abbiamo sentito qualche pregevole spunto, come la lucida analisi di scenario fatta in apertura da Alessandra Ricci di SACE, o il report di Regina Corradini di Simest, che non a caso concludono i loro interventi con input specifici rivolti alla necessità per le istituzioni di aprire la collaborazione alle piccole aziende – e a chi porta loro le competenze. O l’intervento del Vicepresidente di Unioncamere, l’unico ad avere il coraggio di enunciare per la sua organizzazione obiettivi raggiungibili e misurabili. Altri contributi interessanti sono pervenuti soprattutto dai relatori in grado di portare personali esperienze imprenditoriali o manageriali.

Nel complesso ci rimane un continuo rumore di fondo fatto di declamazioni inneggianti al valore del nostro export, al fatto che raggiunge il 40% del PIL, al sostenibile che fa esportare di più, al digitale, al green, e a quanto siamo bravi noi italiani che siamo resilienti, lo facciamo meglio, siamo più forti  di guerre e pandemie, e via di seguito. Tutti nel mondo vogliono il Made in Italy, e sono disposti a pagarlo di più perchè vale di più. Molti autoencomi su quanto siano brave e quanto bene abbiano lavorato le nostre istituzioni, che rivendicano il merito di arrivare ai 700milardi di export attesi per il 2023. Soprattutto, abbiamo sentito un continuo richiamo (a parole) al valore delle PMI e al coraggio degli imprenditori.

Bene. Non poteva essere diversamente perchè sono proprio le PMI e le microimprese coloro che supportano la qualità e l’incredibile differenziazione produttiva che ha portato il Made in Italy a diventare il terzo marchio più conosciuto nel mondo. E’ l’esistenza di milioni di piccole e micro imprese italiane che giustifica l’esistenza e la presenza sul palco dei relatori. Peccato che la grande maggioranza delle nostre imprese non sia esportatrice. Siamo a 136mila su 4 milioni. 10mila in meno del 2014. Non è che tutte devono entrare nella filiera dell’export, evidentemente, ma da questa conferenza qualche idea nuova avremmo voluto sentirla.

Al termine delle declamazioni, chi si aspettava risposte concrete o qualche idea non dico nuova, ma semplicemente meno scontata, o l’indicazione di obiettivi specifici da raggiungere, come ad esempio quantificare quante nuove imprese vogliamo far diventare esportatrici di qui al 2030, e quali nuove strategie, risorse e strumenti si vogliono schierare per farlo, temo sia rimasto deluso. Al di là delle analisi geopolitiche, delle dissertazioni sulla deglobalizzazione, sul nearshoring, back shoring, friendshoring, l’impressione è che la strategia vera del Sistema Export Italia fa il paio con il sonnambulismo del paese descritto dal rapporto Censis.

Quando manca una visione per l’export del paese, l’unica strategia diventa quella di  galleggiare sulla congiuntura internazionale, gestire la corrente e, in mancanza di volontà o capacità per attuare misure efficaci, fare conferenze sulla strategia. Aggiungiamo quindi alla lunga serie di inutili summit, agli stati generali, alle cabine di regia, ai ddl, agli annunci tipo black friday, anche questa conferenza Nazionale sull’Export e l’Internazionalizzazione. D’altra parte, anche al MAECI non potevano essere da meno del MIMIT sempre alla ribalta con trovate tipo i licei del Made in Italy (invece di portare questa cultura che manca in TUTTI i licei e in tutte le  scuole) o, (appunto), il Made in Italy Day ogni anno, l’expo permanente e altre amenità contenute nel DDL. Che sta andando alle Camere con in pancia una quantità di misure e promesse talmente ampia e generica da renderle ragionevolmente irrealizzabili, se non come mero strumento di propaganda.

Lasciava ben sperare il fatto che finalmente ci fosse una sessione dal titolo COME ESPANDERE IL NUMERO DELLE PMI ESPORTATRICI. Ma per ricrederci ci è bastato vedere la premessa sul titolo con una clamorosa bugia, ossia che il numero della PMI esportatrici è in aumento. Che bisogno c’era di questa esternazione così palesemente priva di fondamento? E’ la dimostrazione che negli apparati del Sistema Italia prevale chi continua a perseguire la vecchia politica e gioca sull’equivoco del termine PMI (con medie aziende da 50 a 250  dipendenti). Per assecondare la tendenza che da 10 anni spinge verso la decrescita infelice delle piccole e delle micro imprese, che hanno il torto di fatturare meno di 50 milioni.

Lo ha ricordato (minuto 2.26) il Vicepresidente di Unioncamere Vadrucci: mentre i grandi numeri dell’export crescono, le MPMI esportatrici diminuiscono: siamo passati dal 22,7 al 21% per le PMI imprese e dal 51 al 43% per le piccole e le microimprese. Anche in questa sessione, che era quella che più avevamo a cuore, abbiamo sentito molto rumore di fondo e poche proposte concrete. E’ ancora lontana una richiesta forte e chiara di misure forti e specifiche in favore dei milioni di piccole e piccolissime aziende che producono in Italia per emanciparne la cultura e portarle a diventare esportatrici, portando al loro interno competenze e una cultura diversa da quella delle fiere e del finto export promesso dalle grandi piattaforme. Temo che anche le grandi organizzazioni delle mpmi debbano imparare a emanciparsi.

E’ vero che i volumi totali dell’export crescono, e che tutti i presenti, a parole, hanno concordato e ribadito la imprescindibile necessità di lavorare tutti insieme appassionatamente, istituzioni, associazioni, grandi imprese a capitale internazionale, medie imprese, micro imprese. Ma restano astratte le dichiarazioni di intenti prive di alcun seguito, se manca la volontà di lavorare per sviluppare l’effettivo valore del prodotto nazionale nell’interesse delle piccole imprese del Made in Italy. Sono loro che quando esportano creano ricchezza e valore che resta in Italia, e che alimentano un circolo virtuoso di crescita diffusa poco gradito ai potentati internazionali, i quali incombono sui governi, e non solo sul nostro.

Quando si dice 700 miliardi di export, non si dice che oltre il 50% del totale è fatto dall’1 % di grandi società a capitale internazionale. Non si dice che il 35% di queste società di grandi esportatori non sono italiane (e non si parla di come paghino le tasse quanto e dove gli pare). Non si dice che a ogni 100 euro di ricavi export dei grandi esportatori internazionali corrispondono 150 euro di costi all’importazione, con conseguente diminuzione del beneficio al paese. Non si dice che favorire le delocalizzazioni travestite da internazionalizzazione porta via occupazione, esporta ricchezza, ed è responsabile di maggiore povertà.

Sul piano macro, dobbiamo apprezzare le indicazioni e il lavoro fatto dalle istituzioni, così come dobbiamo fare affidamento alle reti di Farnesina, ICE, Camere Estere, che costituisce certamente un’importante supporto al Sistema Paese.

Cosi come sono da apprezzare gli strumenti online di SACE, CDP, e i finanziamenti Simest, questi ultimi ancora troppo tarati sull’approccio bancario e sulle poche medie aziende – e troppo poco sulle tantissime piccole che ne avrebbero un bisogno vitale. Sul piano misure, dobbiamo costatare il persistere della tendenza tipica degli apparati pubblici a documentare il lavoro fatto in precedenza, talvolta anche pregevole, tenendosi bene attenti a NON porre obiettivi da raggiungere. E tanto meno indicatori di performance misurabili. Salvo poi dire, falsamente, che  il numero di piccole aziende aziende esportatrici nel nostro Paese è in aumento.

Vogliamo dirlo che la campagna Be-it, una delle poche promesse mantenute dal poderoso e già dimenticato Patto per l’Export, si è trasformata in una costosa esibizione di virtuosa tecnica pubblicitaria per autopromuovere nuovo marchio, alternativo al Made in Italy? Senza nessun senso dal momento che. di per sè, e grazie soprattutto alle mPMI e alla nostra storia e cultura, il nostro brand è già il terzo più conosciuto al mondo? Vogliamo dire che l’italian sounding è schizzato al 150 miliardi, perchè non siamo capaci di portare i prodotti italiani veri dove la gente li cerca e non li trova? Vogliamo dirlo che la campagna di promozione del turismo in Italia (ricordiamo che il turismo è la forma più proficua di export perchè non comporta costi di import) è poco più che un’app? altro che open to meraviglia.

Di fronte alla lentezza delle Istituzioni oggi le aziende, soprattutto quelle piccole e micro, non possono aspettare un manovratore che dica loro cosa fare. L’imprenditore deve essere ben consigliato e reso consapevole che è lui il primo responsabile della sopravvivenza del suo business, che è lui il responsabile del ruolo e dell’impatto sulla società e sull’export, e che è lui che ha l’opportunità di contribuire al cambiamento e alla creazione di un nuovo modello di sviluppo internazionale, basato sul risveglio in atto da parte di altre centinaia di migliaia di piccoli imprenditori.

I cambiamenti e le minacce sono opportunità per le aziende che riescono a trarne vantaggio, in particolare sono le aziende più piccole, più agili, e più reattive le più leste a cavalcare i cambiamenti. Ma non si può fare da soli, nè aspettare i tempi di politici e burocrati, o tanto meno lavorare in modalità “si è sempre fatto così’”. Le aziende e i professionisti dell’export e dell’innovazione che le assistono devono imporre il cambiamento, anche alle istituzioni, e anche alle grandi associazioni. Alle aziende non servono  le conferenze, le cabine di regia senza regia, le giornate del Made in Italy, le promesse della propaganda. Il sistema paese deve dare molte più competenze e tutte le risorse necessarie alle MPMI che producono in Italia perchè possano emanciparsi dall’asservimento alla propaganda politica e ai grandi gruppi della finanza internazionale.

Serve dare certezza sulla continuità degli incentivi. (I fondi Simest stanno finendo.. e dopo?) Serve rimuovere burocrazia e non aumentarla (qualcuno ha visto l’incredibile guida DNSH che presiede agli investimenti sostenibili del PNRR? Non puoi finanziare neanche un furgoncino se non è elettrico, peccato che non li fanno perchè inquinano più del diesel.) Serve rifinanziare le misure che danno risultati. Perchè non è stato rinnovato il voucher DTEM 2020 che con 50 milioni ha generato 2500 imprese esportatrici portando loro competenze export e digitale? Perchè non si sviluppa qualche idea nuova, visto è conclamato che gli investimenti in export si ripagano da soli, come ad esempio defiscalizzare gli utili e gli investimenti export delle microimprese?

Le tesi ExportItalia 2030 per cambiare e migliorare l’export del Made in Italy sono condivise da migliaia di export people che il settore lo vivono, lo lavorano, e lo fanno. Le trovate, e potete votarle, sul sito di Uniexportmanager. L’associazione professionale dei professionisti dell’Export Import Internazionalizzazione e Innovazione, in occasione della Conferenza del 5 dicembre, ha consegnato alla Segreteria del Ministro Tajani un sintetico documento di misure semplici, immediatamente cantierabili a costo zero per il bilancio pubblico. Lo avevamo già fatto in gennaio ai tempi della Cabina di Regia: input totalmente ignorati. Non molliamo: da 5 anni, anche se non ci ascoltano, insistiamo e ci facciamo sentire perchè lavoriamo nell’interesse comune per l’export e per il bene del nostro Paese.

Le aziende per cambiare hanno bisogno di collaborare, acquisire competenze, trovare partnership, mettersi insieme. La deglobalizzazione può diventare un grande vantaggio per l’Italia. Ma occorre assecondare idee e cambiamenti: IL MAECI a suo tempo lo aveva fatto patrocinando il Premio Export Italia, che con un roadshow in tutte le regioni ha scovato e premiato le migliori storie di export del Made in Italy autentico. La nuova edizione per l’anno 24-25 partirà dalla hall of fame delle export story degli anni precedenti.

Vanno sostenuti tutti gli eventi che favoriscono incontri, relazioni e business, non bastano solo le fiere tradizionali dove troviamo i nostri piccoli imprenditori rinchiusi in un pollaio di booth di pochi metri a fare da cornice ai colossi. Lo dimostra il grande successo di Go International a Milano:

Lo dimostra la straordinaria partecipazione internazionale al congresso di Roma, che ha inaugurato un nuovo modello di confronto fra aziende, operatori, e partner esteri.

Infine, il 2024 dell’export autentico si aprirà a Venezia dal 20 al 23 gennaio, in occasione del Wine in Venice. Il red carpet dell’evento, che già aveva ospitato l’anno scorso la sezione vino del Premio Export Italia, ospiterà non solo le cantine etiche sostenibili e innovative, ma anche il secondo incontro internazionale degli export people.  Incontri e relazioni di export, cultura, etica, sostenibilità, innovazione, di fronte alla selezione dei migliori vini emblema delle nostre aziende e dei nostri territori, nel contesto unico della città italiana più famosa del mondo.

Lavoriamo insieme per migliorare l’export.
Grazie per leggere e diffondere questa newsletter.

Giuseppe Vargiu,
Presidente Uniexportmanager