Il blob ferragostano

Nel blob ferragostano italiano, oltre che di allenatori di calcio si parla di 9 euro l’ora, del match di Elon Musk vs Mark Zuckerberg, di sneaker in parlamento, di extraprofitti, delle accise , delle opinioni di un generale su gay e migranti. Tranquilli comunque: ora arriva il controesodo insieme al ritorno dell’anticiclone e del meeting di Rimini. Quest’anno il tema è “l’esistenza umana è una amicizia inesauribile“. Al titolo lavorano per 12 mesi, e quest’anno hanno usato l’IA generativa per attrarre ben 12 ministri.

Niente di nuovo comunque: nel contesto  politico italico è sempre stato veramente difficile distinguere il problema reale, del quale mai nessuno parla, dal problema fittizio nel quale le parti politiche dibattono e si combattono con accanita ferocia.Questo vale ancora di più se entriamo nel tema della nostra newsletter, ossia migliorare l’export del Made in Italy che da sempre traina l’economia  il nostro paese.

Il problema mai risolto dell’internazionalizzazione

Proprio per il suo ruolo trainante il contesto export del sistema Italia non può permettersi di inventare problemi fittizi per rinviare la soluzione di quelli veri. E tanto meno di inventare scatole vuote fantasiose e inutili come il Disegno di Legge sul Made in Italy o le cabine di regia per l’internazionalizzazione. Guardate qui quanto importa il mondo – e quanto spazio esiste per aumentare il nostro export.

Per chi lavora con i mercati internazionali agosto è sempre stato difficile perché bisogna bilanciare una domanda internazionale che non si ferma e il contesto immobilizzato dalla paralisi estiva. Ancora di più per le piccole imprese, strette nella tenaglia fra la concorrenza di grandi marchi, la forza contrattuale schiacciante di controparti e buyer esteri, il costo del denaro e il credit crunch, il duro lavoro per acquisire e mantenere canali di mercato esteri. Non ci si può fermare, occorre guardare avanti ed essere pronti a inserirsi in tutte le opportunità, individuare i veri problemi, e trovare strategie per risolverli, possibilmente insieme.

E’ un problema che il sistema del Made in Italy non ha mai risolto perché l’internazionalizzazione è un tema che viene trattato alla stessa stregua degli altri problemi del paese, con  lo stesso  approccio manipolativo dettato dalla propaganda e dal marketing politico e istituzionale. E’ come fare una grande campagna pubblicitaria per vendere un prodotto scadente: il sostegno istituzionale al Made in Italy è il prodotto, che promette e propaganda molto di più di quanto offre realmente. Quando il sostegno promesso nei fatti viene a mancare, la gente se ne rende conto e non crede più né al sostegno né a chi lo propaganda.

Il blob degli incentivi

I dati Istat sono molto chiari: i numeri dell’export aumentano solo con i fatturati delle aziende organizzate, di dimensioni anche finanziarie significative, già inserite stabilmente nei mercati esteri. Molte di queste organizzazioni spesso reinvestono all’estero i benefici ottenuti dalla finanza agevolata, stabiliscono sedi in paradisi fiscali, e utilizzano le risorse pubbliche italiane per delocalizzare e creare lavoro all’estero. Alle PMI il sistema si presenta amichevole e invitante:

Le MPMI esportatrici, i piccoli marchi, i subfornitori, ossia quelli che effettivamente fanno il Made in Italy di qualità, sono effettivamente il cuore del nostro sistema produttivo e creano il lavoro e la ricchezza che rimangono nel paese. Purtroppo i numeri ci dicono che le piccole imprese esportano sempre meno, sono sempre meno numerose, e, in prospettiva, licenziano e chiudono. Ci si è aggiunta anche la transizione digitale, che per le pmi finora non ha dato grandi risultati, anzi ha generato ulteriore confusione. E’ proliferata in modo disordinato  l’offerta di servizi per l’internazionalizzazione, già abbondante di annunci tra Maeci, MIMIT, Agenzia ICE, CDP,  Invitalia, Simest, Sace, Regioni, Camere di Commercio, Aziende e Agenzie Speciali, Associazioni di Categoria, Consorzi, Reti, Università, Enti associativi.

Con un groviglio inestricabile di misure fra bonus, voucher, fondo perduto, finanziamento agevolato, fiere, credito fiscale, ai quali si aggiungono i nuovi imperscrutabili requisiti PNRR del tagging ambientale e della transizione gemellare. Per non parlare del mancato coordinamento fra i Ministeri e le varie burocrazie. L’Agenzia delle Entrate, per indurre le aziende a restituire i crediti innovazione erogati 8 anni fa dall’allora MISE, è arrivata a dichiarare in una sua circolare  che un’attività di ricerca e sviluppo non è innovazione se basata su tecnologie esistenti oppure finalizzata a obiettivi di business.

Il disorientamento delle aziende

Questo disorienta le pmi, che sono sommerse di proposte che non riescono, o non vogliono utilizzare perchè non le capiscono o non si fidano. Per esempio, il bonus export digitale che regalava quasi a pioggia contributi a fondo perduto per l’export digitale:

Tutto sommato era una buona misura per sostenere piccoli progetti. Ma la hanno dovuta chiudere con metà delle risorse inutilizzate, per carenza di richieste.

Le aziende non ci credono più!

Dal patto con l’export e dal periodo del Covid in poi, le istituzioni hanno distribuito diversi miliardi, teoricamente per favorire le PMI. Ma solo una minima parte è arrivata alle piccole aziende. E soprattutto non si è vista né trasparenza, né puntuali evidenze di follow up,  nè risultato. Tanto meno obiettivi specifici di aumentare il numero di aziende esportatrici. Bisogna cambiare. Bisogna far evolvere la cultura imprenditoriale dell’export del Made in Italy verso nuovi modelli. Le aziende del nostro Paese con ottimi prodotti non possono farcela da sole se non si impadroniscono di  nuovi schemi che superino la domanda-offerta basata su prodotto, prezzo e pubblicità. Il piccolo non potrà mai competere con i colossi, che hanno mezzi, risorse finanziare, reti distributive, e brand consolidati. Le grandi piattaforme online non sono una soluzione perché sempre più tendono ad essere loro i nemici delle aziende, utilizzando gli incentivi statali  destinati alle PMI come cavallo di troia.

Tutto il mondo cerca i nostri prodotti, ma quelli autentici difficilmente li trova sui punti vendita, perché gli apparati del  Sistema Italia invece di far crescere il sistema imprenditoriale delle PMI facilitando l’acquisizione di competenze, lavorano per promuovere se stessi e la loro immagine. Acquisizione delle competenze non significa ingaggiare un Export Manager miracoloso che, appena arrivato, moltiplica fatturati e margini. Significa innanzitutto comprendere il percorso di crescita internazionale e intraprenderlo ricercando e mettendo insieme le competenze che servono. Le quali non tutte possono essere interne: la norma UNI11823:2021 prevede 120 abilità e conoscenze. Nessuno può possedere tutte le skill, ma  l’export collaborativo è un approccio che consente a ogni azienda di dotarsi di esperti di settore, di destinazione, di innovazione, di mktg digitale, di finanza agevolata, di logistica, nella misura correlata alle proprie necessità.

Il pensiero e l’azione ExportItalia 2030

Nelle prossime settimane ci sarà una vera e propria ubriacatura di eventi legati a export e internazionalizzazione, a livello locale, correlata alla pioggia di bandi in apertura, e a livello nazionale con  Stati Generali, Summit del Made in Italy, nonchè la Fiera Gointernational. Speriamo che si apra un dibattito sui reali problemi  dell’export. Seguiremo tutti questi eventi con lo spirito aperto di chi  risolve i problemi veri. Con le associazioni Uniexportmanager, FederItaly, Ampioraggio, AssoRetiPMI, lavoriamo per migliorare l’export partendo dai valori veri, cercando imprenditori coraggiosi e creativi che dimostrano che cambiare si può. Lo abbiamo fatto con le export story del Premio Export Italia (in stampa la prima edizione), lo facciamo con i primi imprenditori che utilizzano il marchio 100% Made in Italy certificato da FederItaly, lo facciamo con la Formazione Uniexportmanager, ora disponibile anche in inglese e abbinata alle business school internazionali.

Ma c’è ancora un sacco di lavoro da fare per le micro PMI, e siamo tutti in un fortissimo ritardo! Rischiamo di rimanere senza generazione di ricambio e tra pochi anni saranno guai per tutti, senza imprenditori né competenze export qualificate. Vogliamo uscire dal “blob” delle manipolazioni sul prodotto italiano e dare vita insieme a un movimento di opinione che accomuna gli export people italiani nell’unire i valori della nostra Storia e della nostra Cultura alle produzioni delle nostre PMI, facendole crescere, e dando una risposta concreta a tutto il mondo che cerca il Made in Italy vero e non lo trova.

Grazie per leggere e condividere questa newsletter,
Giuseppe Vargiu
Presidente Uniexportmanager