L’export – il traino della ripresa

Dopo il suo inserimento nel nome del Ministero, aspettiamo una visione volta a far diventare il Made in Italy, secondo le dichiarazioni del ministro Urso “il traino della ripresa del paese”. Ci aspettiamo in particolare misure idonee alla crescita delle decine di migliaia di aziende che il Made in Italy lo producono, e vorrebbero un sostegno nel portarlo all’estero e per attrarre in Italia compratori e investitori.

C’è un indicatore implacabile che dovrà essere rispettato per verificare se queste misure saranno un vero traino della ripresa. E non sarà la crescita del valore nominale del fatturato all’esportazione, bensì il valore sociale dell’export in termini di crescita del numero delle aziende esportatrici, quelle che fanno il vero Made in Italy, quelle che generano lavoro, e quelle che sono la vera ricchezza del nostro paese. Questo valore continua a diminuire costantemente, di anno in anno, perché le politiche export del Sistema Italia hanno sempre penalizzato le piccole imprese. Con il beneplacito silenzioso delle grandi associazioni imprenditoriali.

Cominciamo con l’e-commerce

Intanto che aspettiamo di conoscere il disegno di legge parliamo di e-commerce. C’è chi pensa che basti offrire alle aziende di entrare sulle grandi  piattaforme di e-commerce per farle diventare esportatrici. Qui trovate il link alla registrazione dell’evento del 19 maggio nel quale, con le giornate del Made in Italy digitale, il Sistema Italia annuncia ufficialmente la delega del futuro dell’export digitale italiano alle grandi piattaforme dominanti (VLOPs) – ossia alle stesse corporate internazionali richiamate a moderare gli abusi da inutili multe e dal Digital Markets Act.

Riassumiamo in poche righe il pensiero che emerge, e che viene puntualmente ripreso da stampa, media, e commentatori:

Tajani (MAECI): export italiano vale 600mld ma fare di più in UE con le piattaforme digitali;

Lollobrigida: (AGRICOLTURA) Noi superpotenza alimentare, insegniamo a mangiare al mondo;

Urso: (MIMIT) Per aziende online è canale fondamentale per internazionalizzarsi;

Zoppas: (AgenziaICE) Chiediamo agli operatori e-commerce di aiutare con la formazione le PMI;

Marseglia (Amazon): Online primo driver di crescita per il Paese.

Diciamo la verità. Da queste dichiarazioni l’ obiettivo della crescita delle migliaia di  aziende che potrebbero diventare esportatrici non emerge proprio. Esportare non equivale a vendere qualcosa online. Quello che si vede è tanta propaganda istituzionale e asservimento alle VLOPs e alle lobby che influenzano le scelte politiche e le azioni degli apparati, e che da anni premono per discriminare e penalizzare le piccole imprese italiane. Qui dilaga la celebrazione di un grande Sistema Export Nazionale trainato da un tripudio di business digitale. Il messaggio è: affidatevi alle piattaforme e-commerce per diventare grandi esportatori. Ma come vedremo, le cose non stanno esattamente cosi. 

Non è in discussione il ruolo fondamentale dell’export business digitale. Siamo tutti consapevoli che le convenzioni ICE sono un supporto che potrebbe essere di grandissima utilità, perche non c’è export senza la componente digitale.  Il problema è che in nome della propaganda si stanno mettendo  le aziende in mano ai formatori interni delle  piattaforme. Con generose sovvenzioni Si sostiene il business delle piattaforme invece del vero sviluppo internazionale delle aziende.  Bisogna  supportare le aziende difendendole dai comportamenti scorretti e affiancare la presenza nei marketplace con l’ingaggio di esperti indipendenti se veramente si vuole la crescita dell’export e delle MPMI. Appaltare l’export all’arbitrio insindacabile delle piattaforme non fa l’interesse delle nostre aziende e può addirittura danneggiarle.

Il lupo pastore e le aziende in mano alle multinazionali dell’e-commerce

C’è una favola di Lafontaine dal titolo “Il Lupo Pastore”

Un lupo che abitava vicino a un grande prato vedeva ogni mattina pascolare un gregge di pecore a poca distanza da lui, ma non riusciva a trarne vantaggio. Decise allora di usare l’astuzia ed avvicinare le pecore mascherato da pastore. Il lupo si mise una casacca, prese un pezzo di legno come bastone e, per completare il travestimento, si mise al collo una zampogna. Così bardato sembrava proprio Bortolo, il guardiano di quel gregge. Intanto, il Bortolo vero dormiva tranquillo accanto al gregge. Anche le pecore e i cani dormivano tranquilli sul prato. L’impostore si avvicinò alle pecore e quelle, non riconoscendo il lupo pastore, non scapparono, ma rimasero serene e quiete. Il lupo le svegliò dolcemente, con l’intenzione di spingerle verso la sua tana e fare un bel banchetto. Non contento di sembrare un pastore solo nell’aspetto, si mise dunque ad incitarle anche con la voce: non l’avesse mai fatto!.. andate a vedere come finisce la favola.

E’ come se le nostre piccole aziende fossero pecore e fosse proprio il guardiano del gregge a spingerle in un recinto custodito dal lupo. Purtroppo per le nostre MPMI, il finale rispetto alla favola di LaFontaine è ben diverso. Lo documenta bene l’esempio della buy-box. Ma le storie dei comportamenti scorretti delle grandi piattasforme che abusano della loro posizione dominante sono tantissimi, non a caso è intervenuta la Commissione Europea con il Digital Markets Act, ignorato dalle nostre istituzioni.

L’ esempio della Buy-Box

Cos’è la Buy-Box? Se lo chiedete – non dico ai politici – ma ai funzionari e ai consulenti di Maeci, Mimit, ICE Agenzia, Ministero dell’Agricoltura, alla Cabina di Regia, o a tutti coloro che hanno lavorato alacremente per le grandi convenzioni e le grandi giornate della propaganda, difficilmente vi sapranno rispondere. Chi sui marketplace internazionali  ci lavora per fare business, ne conosce l’importanza vitale.

La Buy Box di Amazon è il riquadro che ogni utente vede in alto a destra rispetto alla scheda prodotto, e consente di acquistare la merce con un semplice click. All’interno è presente solo il pulsante “aggiungi al carrello”, senza riferimenti ad alcun venditore in particolare: l’utente, cliccandoci, non sa da chi sta acquistando. Ma sa che può fidarsi di Amazon, dato che è lo stesso negozio elettronico a stabilire il venditore privilegiato che potrà usufruire della Buy Box. In altre parole, questa scatola d’acquisto è un po’ come la prima posizione su Google: chi la vince, aumenta esponenzialmente le possibilità di monetizzare il prop

rio business online. Al punto che il 90% degli acquisti su Amazon avviene proprio tramite la Buy Box.Ottenere la Buy Box non è automatico, neanche per le aziende che beneficiano della promozione ICE. Sono di fatto privilegiate le aziende che pagano abbonamenti fissi e utilizzano la logistica, e che si adeguano alle specifiche in continua variazione della piattaforma. Perderla è facilissimo: decide l’algoritmo, ossia Amazon. Quel che è peggio è che la convenzione ICE Agenzia delega la formazione per l’utilizzo delle piattaforme alle piattaforme stesse. E i formatori delle piattaforme cosa pensate che faranno? Le istruiranno imponendo forme di abbonamento o di logistica pagate dalle aziende e profittevoli per la piattaforma? Oppure si muoveranno a scapito del proprio interesse corporate per il bene del Made in Italy (che già paga profumatamente le convenzioni)? E’ il guardiamo del gregge che delega al lupo l’assistenza alle pecore. Per questo non ci stancheremo di dire che per fare export digitale servono competenze di esperti indipendenti nell’export management e nell’export digitale, anche per combattere lo strapotere delle piattaforme, che non sono affatto il bene assoluto che vorrebbero farci credere le istituzioni.

Il fondo sovrano – il liceo del Made in Italy – il decreto per il Sud

Ci sarebbe ben altro. Ci sono altre  tematiche, tutte sul tavolo. Staremo a vedere come il sistema saprà risolverle. Qui l’articolo di Alessandro De Nicola su La Repubblica:

C’è anche il Fondo per il Sud. Abbiamo già visto che il decreto sul fondo per le PMI del sud richiede una soglia di investimento da 700mila a 5milioni, inarrivabile da parte della stragrande maggioranza delle aziende, e siamo molto preoccupati. Quello che si prospetta è un  madeinitaly lasciato nelle mani dei soliti noti che lo hanno gestito finora, dichiarando sostegni alle PMI e penalizzando le aziende esportatrici in base alle loro dimensione. Lavoriamo per migliorare l’export: se il manovratore sbaglia strada ci perdonerà se lo disturbiamo e glielo facciamo notare.

Grazie per leggere e condividere questa newsletter,

Giuseppe Vargiu
Presidente Uniexportmanager