L’attivismo burocratico e il proibizionismo digitale
l’Italia è sempre brava a fare bene le cose sbagliate. Siamo felici che i nostri soldi siano usati per pagare il Garante che blocca ChatGPT o la SIAE che blocca le canzoni su Facebook. Ci sentiamo tutti più sicuri. O forse no? Magari eravamo più felici se il “garante” cominciava a proteggerci dalle chiamate dei call center, o ci spiegava perché dopo le nostre ricerche online ci arrivano a valanghe pubblicità indesiderate. Siamo passati dalla finta privacy al proibizionismo digitale: di buono c’è che, ora che è proibita, la ChatGPT tutti la vogliono. E’ anche questa transizione digitale.
Il sistema italiano dell’export
Quando si tratta di cose veramente importanti come lo sviluppo dell’export e la creazione di lavoro, ossia un insieme di attività svolte in gran parte da molte migliaia di aziende medio piccole (MPMI), che vale un terzo del pil e crea il 78% dell’occupazione, l’attivismo istituzionale affievolisce e il Sistema Italia si blocca. I Ministeri che hanno competenza sull’internazionalizzazione, i loro apparati e le grandi confederazioni imprenditoriali accettano lo status quo, osteggiano il cambiamento, e reprimono ogni iniziativa che osa mettere in discussione il loro predominio. Resta solo la propaganda istituzionale.
Nella foto uno tanti eventi beIT (costati 50 milioni del Patto per l’Export): qui invece di portare i prodotti Made in Italy in Vietnam si autocelebra un ennesimo brand istituzionale di cui nessuno sentiva il bisogno.
Il sistema di export e internazionalizzazione dei prodotti italiani è ridotto a un noioso sistema di propaganda, che perde attrattività, non crea valore, non sostiene le aziende esportatrici il cui numero continua a diminuire. Si è visto anche con l’ultima Cabina di Regia per l’Internazionalizzazione: una bella foto di gruppo, una dichiarazione strategica priva di di obiettivi su cui confrontarsi, poi, dopo due mesi, il niente. Gli interventi attivati negli anni scorsi per sostenere export e internazionalizzazione delle PMI sono di fatto bloccati da troppo tempo.
Se l’export è bloccato perché ci dicono che va così bene?
La comunicazione corretta e trasparente non è il punto di forza delle nostre istituzioni e dei nostri media. Si è visto in modo clamoroso con il Covid. L’autorevole Centro Studi di Confindustria, nel suo studio pubblicato pochi giorni fa, ci riporta che la dinamica delle esportazioni italiane ha resistito agli shock degli ultimi anni, sia in termini assoluti che in confronto con gli altri principali esportatori europei. Questo è vero, ma esistono due scenari.
Quello delle grandi aziende internazionali che fatturano tanto e spesso delocalizzano, sostenute dalla gran parte degli incentivi per l’internazionalizzazione, e illuminate dai riflettori della propaganda e dei media;
Quello generalizzato, ma volutamente nascosto, delle migliaia di piccole aziende nazionali di qualità, che non dispongono di risorse, non possiedono adeguate competenze, non esportano, vivacchiano e chiudono.
A trainare i grandi fatturati italiani all’esportazione sono state le aziende medio grandi, e in particolare i prodotti farmaceutici, quelli petroliferi, e i mezzi di trasporto (escluso il settore auto). Viceversa, l’export dei settori centrali del manifatturiero italiano è cresciuto molto meno, attestandosi nel 2022 ancora intorno ai livelli pre-Covid. Notoriamente le piccole aziende del Made in Italy non gestiscono raffinerie, cantieri navali, e non fanno parte dei gruppi farmaceutici, i cui affari sono cresciuti vertiginosamente, trainati anche dalle speculazioni energetiche. Per cui le piccole aziende sono in forte e dolorosa contrazione, come ci conferma anche il report di Confindustria, precisando che questo processo è in atto da più di dieci anni.
In altre parole il manifatturiero Italiano ha sempre meno aziende, ma sempre più forti e una base ridotta, ma rafforzata. Fra le grandi aziende 9 su 10 sono esportatrici, e sempre più sono sostenute dagli incentivi del sistema italiano dell’export, mentre fra le PMI la percentuale scende a 1 su 100. E quel che è peggio, il sostegno per esportare il Made in Italy delle piccole imprese è di fatto bloccato. Per esempio cosa si aspetta a riattivare il voucherTEM che, come conclamato in Cabina di Regia, ha consentito con poche risorse a 2.500 aziende di diventare esportatrici? Chi è responsabile del blocco? Qualcuno esulta, ai piani alti dell’establishment, come abbiamo già fatto rilevare.
Esulta perché considera le MPMI un fardello inutile, e vorrebbe semplicemente la distruzione del sistema italiano delle piccole e micro imprese, relegandole a turismo e pizzerie. Altri, e sono i più, si accontentano di quanto offre alle imprese meno strutturate lo status quo: una sopravvivenza incerta e malaticcia, invece che di una attiva politica di sviluppo.
Conseguenza della distruzione delle PMI è la distruzione del lavoro.
Italia ultima per imprese esportatrici ma anche per occupazione. L’Italia è il fanalino di coda dell’Unione europea quando si parla di occupazione. E scivola anche dietro la Grecia nella classifica di Eurostat sul tasso di occupati. Non è bastata la crescita registrata l’anno scorso, restiamo distanti dalla media europea.
Il tasso di occupazione nel nostro Paese nel 2022 è passato dal 58,2% al 60,1%. Un aumento consistente, che però non è riuscito ad evitare che l’Italia finisse all’ultimo posto per tasso di occupati nell’Unione Europea, dietro la Grecia. Che invece, con un miglioramento di 3,5 punti, ha fatto un salto in avanti arrivando a quota 60,7%. La media europea rimane lontana, al 69,9%. C’è un modo sicuro per riattivare l’occupazione e sostenere il Made in Italy autentico e non falsificabile.
Sbloccare l’export delle PMI e farne strumento attivo di creazione lavoro
La scuola di pensiero finora prevalente a livello dei Ministeri che fanno parte del cosiddetto CIMIM Comitato Interministeriale per l’Internazionalizzazione del Made in Italy è quella di tagliare i nastri nelle fiere, dare sostegno dichiarato alle grandi organizzazioni e alle loro lobby associative, nel renderle sempre più potenti, e nel lasciare in secondo piano la crescita delle centinaia di migliaia di PMI che potrebbero esportare. Ossia bloccare gli unici soggetti in grado di intercettare l’incredibile domanda insoddisfatta di Made in Italy autentico nel mondo.
La scuola di pensiero Exportitalia 2030, portata avanti da associazioni visionarie come Uniexportmanager, Federitaly, AssoretiPMI, Fondazione AmpioRaggio, e da dirigenti illuminati presenti anche negli apparati istituzionali, rispetta le grandi corporate, ma sottolinea l’assoluta priorità strategica di sostenere l’export delle PMI, di accrescerne competenze, numero e valore.
Con il Premio Export Italia raccontiamo come hanno fatto tanti imprenditori ed exportmanager di PMI che hanno saputo creare lavoro in Italia e portare i loro prodotti nel mondo. Generosamente ci condividono le loro storie e best practice. Intanto il 13 aprile a Modena si annuncia l’incontro più importante della stagione per gli export people italiani. Saranno presenti anche gli esponenti di ANPAL, a dimostrazione che il sostegno dell’export delle PMI può diventare una potentissima politica attiva per creare lavoro ed elevare il livello delle competenze imprenditoriali e la diffusione delle competenze in fatto di export import internazionalizzazione.
Sono aperte le votazioni su premioexportitalia.it per le aziende selezionate fra oltre 250 nomination pervenute. Il 13 aprile avverrà la proclamazione delle export story vincitrici assolute.
Lavoriamo per migliorare l’export del Made in Italy. Grazie per leggere e diffondere questa newsletter e le idee del pensiero Exportitalia 2030.
Giuseppe Vargiu,
Presidente Uniexportmanager
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