Cabina di Regia… e le stelle stanno a guardare

La cabina di Regia per l’internazionalizzazione ormai lavora come un serial televisivo. Ogni anno un sequel sostanzialmente uguale all’anno precedente, mentre per le piccole aziende del madeinitaly che potrebbero crescere e diventare stabili esportatrici, nulla cambia e prosegue un tunnel senza fine che le fa diminuire di numero un  anno dopo l’altro. Chi vuole approfondire il concetto vada a rileggersi Cronin “…e le stelle stanno a guardare”. Ci sono tutti gli ingredienti del mondo moderno: l’ascesa al potere immeritata e spregiudicata, la povertà, il cinismo, l’ingiustizia, la sopraffazione del più forte sul più debole. E’un libro profondo, dove nella lotta tra bene e male spesso vince il male. La burocrazia connivente, la gente  che ti appoggia e poi ti volta le spalle, le promesse vuote e vane, i valori schiacciati dalla forza del potere.

Tornando all’incontro alla Farnesina le aziende nel tunnel non potevano aspettarsi molto di più. Due ore che abbiamo paragonato al Parlamento Cinese dato il numero dei partecipanti. Abbiamo registrato con piacere  la presenza di new entry associative espressione di  forti istanze di cambiamento. E’ già qualcosa. Resta palese l’inutilità (almeno per le imprese ) della Cabina di Regia così come continua a essere strutturata, e la sua inidoneità a portare avanti qualsivoglia attività che non sia mero lobbying istituzionale. Accludiamo il link al documento strategico. Troverete molto documento, poca strategia, zero obiettivi. 

Nel documento il termine MPMI, ossia il cuore dell’export italiano, compare in tutto 3 volte. Come dicevamo, niente di nuovo rispetto agli anni passati. A parte meno risorse per le MPMI e una valanga di attività declinate  senza indicazione di obiettivi quantificabili mirati ad aumentare il numero delle aziende esportatrici. Speriamo davvero di ricrederci in un giudizio che  in questa prima analisi è oggettivamente negativo.

 Parlano i protagonisti della cabina di regia

La sintesi migliore e più onesta ce la offre l’Ambasciatore Angeloni in questa intervista a 9 Colonne di Paolo Pagliaro:

“La Cabina di regia è diventato uno snodo fondamentale dell’attività di internazionalizzazione e quindi per l’avvio di una serie di attività che si svolgeranno in Paesi prioritari che sono quelli del documento presentato oggi”.

In pratica il documento strategico detta gli indirizzi, con massima libertà agli apparati su come attuarli, senza dover rispondere di alcun risultato. Qui invece l’ intervento del Ministro degli Esteri Tajani, che scopre che la gente compra 100 miliardi di italian sounding, perché noi con i nostri prodotti non ci siamo. Però questo lo sapevamo già. Sono 11 cabine di regia che ne parliamo. Qui parla il Ministro delle Imprese Adolfo Urso, che giustamente pone l’accento sull’ incredibile idiozia autolesionista del parlamento europeo che impone a uno dei più importanti settori industriali italiani, l’automotive, un sacrificio incredibile e devastante a fronte di un risultato ambientale del tutto irrilevante. Buona occasione per parlarne.

Sono felici tutti gli apparati

Tutti felici gli apparati: l’Agenzia ICE incassa una generosa dotazione e l’aumento dei dirigenti, Simest e Sace ampliano l’ambito di competenze e  interventi, i rettori della CRUI proseguiranno la meravigliosa opera didattica chiamata Smart Export Academy. Intanto una ulteriore proliferazione di Academy è già annunciata a favore del sistema camerale, mentre prosegue la pubblicità del Made in Italy sugli stadi, che ha evidentemente ottenuto risultati straordinari per combattere l’italian sounding. E intanto le Regioni già si fanno avanti per ottenere la loro fetta di visibilità.

E le aziende stanno a guardare

Il Sistema Italia per l’export non pare avere la minima considerazione per le piccole aziende (MPMI) che lavorano disperatamente e per uscire da tunnel dove sono state rinchiuse senza colpa da pandemia, guerra, crisi energetica, inflazione. Le piccole aziende, gli artigiani, e i professionisti italiani del lavoro autonomo possono essere la risorsa che fa la differenza per sostenere il madeinitaly nel mondo. Sono quello che gli accademici chiamano vantaggio comparato.

Distruggere o incoraggiare le MPMI ?

In Italia il tema dimensionale è centrale rispetto a tutti gli scenari macro economici, in quanto l’Italia è, per struttura, il Paese della Micro impresa. Riporto qui ampi stralci di uno straordinario articolo dell’Avv. Erminia Mazzoni -Esperta di politiche dell’Unione, del Lavoro e delle Libere Professioni comparso sulla rivista del Microcredito. La produzione cresce con l’aumento della dimensione dell’azienda, ma la forza lavoro diminuisce. Su circa 5,5 milioni di imprese attive in Italia, le microimprese, cioè quelle con meno di 10 addetti e un fatturato inferiore ai 2 milioni di euro, sono quelle numericamente più consistenti, rappresentando il 94,8% del totale, contro il 5,11% delle piccole e medie imprese e lo 0,09% delle grandi imprese (dati Osservatori.Net Digital Innovation).

La microimpresa rappresenta il 45% degli occupati totali e genera un valore aggiunto pari al 30% per addetto. Le PMI italiane sono invece circa 206mila e sono responsabili, da sole, del 41% dell’intero fatturato generato in Italia, del 33% dell’insieme degli occupati del settore privato e del 38% del valore aggiunto del Paese. Le grandi imprese con il loro 0,09% occupano il 22% della forza lavoro e esprimono il 32% del valore aggiunto. La struttura polverizzata della piccola impresa ha resistito negli anni  e, in alcuni casi, ha accresciuto la propria presenza.

L’incredibile forza di sopravvivenza sprigionata  dalla moltitudine di micro e piccolissime aziende sul fattore  forza lavoro, ha condotto la riflessione degli economisti a passare dalla globalizzazione al glocale, ossia  a dotare la piccola impresa degli strumenti e delle competenze  necessari a superare le enormi distanze del mercato allargato. Il dibattito, portato anche a livello europeo, ha raggiunto un importante risultato, in termini di riconoscimento del valore della micro impresa.

L’acronimo PMI è superato in Europa ma non in Italia

L’acronimo PMI – Piccole Medie Imprese – è stato superato dalla definizione, introdotta con la Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE, di MPMI – Micro Piccole Medie Imprese, che descrive in modo più esatto le realtà economica del variegato mondo imprenditoriale. Tale nuova definizione ha conquistato uno spazio importante nelle legislazioni europea, ma non in quella italiana, dove non si è tenuto conto delle modifiche necessarie affinché la neo introdotta dimensione “Micro” potesse realmente e pienamente avvantaggiarsi delle previsioni legislative e programmatorie.

I numeri ci dicono che nell’export del sistema Italia il pensiero politico e l’establishment finanziario tendono a considerare le MPMI un fastidioso disturbo. Il governatore di Bankitalia è arrivato a definirle un peso per l’economia. Prevalgono i poteri forti interessati soprattutto a sostenere e beneficiare l’internazionalizzazione, la delocalizzazione, e la patrimonializzazione delle  grandi organizzazioni. Lavoro e capitale umano sono fuori da questa visione.

Quando il capitale umano, uno dei primi fattori di crescita di un Paese, non viene valorizzato, è inevitabile il cortocircuito. La prima causa di dispersione produttiva che consegue alla polverizzazione del tessuto imprenditoriale viene dalla mancanza di liquidità delle MPMI. La seconda causa è la mancanza di cultura imprenditoriale per l’export. La terza e più importante di tutte la drammatica carenza di competenze export, digitale export, management che esiste nelle aziende che non possono accontentarsi degli sportelli informativi: devono acquisire strutturalmente competenze professionali qualificate.

La dimensione conta?

Per le banche si. Tanto è vero che la prima causa di dispersione produttiva che consegue alla polverizzazione del tessuto imprenditoriale viene dalla mancanza di liquidità della impresa di ridotte dimensioni. Le banche hanno perso da tempo la vocazione a servizio della produzione di beni e servizi. Sono attori economici nel mercato parallelo della finanza e trattano i prestiti alle imprese come uno dei diversi prodotti sui quali fare profitto.

Alla condizione di illiquidità indotta del mercato si aggiunge la forte pressione fiscale e l’aggravio burocratico caricato sulle aziende di piccole dimensioni, la prospettiva di vitalità e di produttività di questa cellula importante del nostro sistema economico diventa estremamente fragile. Un ruolo crescente qui è stato assunto da agevolazioni e incentivi, che pero’ portano anche questi un aggravio burocrati e diffidenza verso le istituzioni quando assistiamo a fenomeni come quelli del bonus 110%. Lo Stato da un lato investe nella creazione di impresa, sostiene le startup,  favorisce la creazione di occupazione, e dopo taglia alle microimprese l’erba sotto i piedi.

La micro impresa è un presidio della nostra tipicità locale, è un pilastro del mercato del lavoro, è ossatura della economia nazionale. Lo impone anche il PNRR . Non basta investire. Va affiancato il riformare. Occorre creare una nuova cultura del valore e dell’export del madeinitaly diversa da quella espressa nelle ultime 11 cabine di regia cui è seguita la  progressiva diminuzione del numero di aziende esportatrici.

Una visione che non emerge e 3 consigli per le MPMI

Le piccole aziende italiane del Made in Italy oggi sono il cuore del lavoro e il cuore dell’export. Questa visione NON emerge dalle linee strategiche della cabina di regia per l’internazionalizzazione. Per le piccole  aziende potenziali esportatrici 3 consigli:

1.Cercate di uscire dal tunnel senza restare ferme ad aspettare un intervento pubblico incerto sul se, sul quando e sul quanto.

2.Siate curiose e aperte alle aggregazioni, alle collaborazioni, all’inserimento di competenze qualificate, alle iniziative collettive di valorizzazione del madeinitaly.

3. Fuori dal tunnel c’è un mondo incredibile di opportunità. Se il Made in Italy è il terzo marchio più popolare al mondo il merito non è certo della pubblicità sugli stadi. E’ il valore della nostra storia, della nostra cultura, della nostra creatività che trova la sua espressione nel il lavoro  del popolo delle piccole imprese italiane. Dobbiamo creare nuove modalità per portarlo a chi lo chiede nel mondo.

Lavoriamo col pensiero #Exportitalia2030 per migliorare l’export. Grazie per leggere e condividere questa newsletter.

Giuseppe Vargiu,
Presidente Uniexportmanager