L’ascesa interrotta del commercio mondiale
La crescita del commercio mondiale dopo la seconda guerra mondiale ha accompagnato il più grande balzo in avanti nei livelli di benessere che l’umanità abbia mai vissuto. Ma già prima del Covid la globalizzazione aveva rallentato, anche perche portava con se crescenti e dolorose diseguaglianze e contraddizioni. Questo grafico pubblicato sul Messaggero documenta come il commercio internazionale fosse passato dal 16% del PIL al 50% del PIL, ma dal 2008 la crescita si è fermata. E anche l’Italia resta ferma all’export pari al 30 del PIL.
Nel 2022 è arrivata la guerra, che ha fatto venir meno il presupposto essenziale della globalizzazione: la fiducia tra gli Stati. Nel tempo ci eravamo adagiati su un modello di crescita economica nel quale era conveniente delocalizzare e delegare produzioni e approvvigionamenti all’estero, per esempio le mascherine in Cina, il gas in Russia, le lavorazioni in Turchia o in Bangladesh: questo modello è venuto a mancare e il commercio internazionale e il nostro export deve fare i conti con un fenomeno che rischia di impoverirci tutti.
Quoto dall’articolo di Francesco Grillo
Il COVID ha poi letteralmente congelato i commerci; e quando sembrava che stessimo tornando alla normalità, è arrivata la guerra a spazzare via la fiducia minima tra Stati di cui la globalizzazione ha bisogno.
Gli effetti sono drammaticamente evidenti: l’inflazione ferma per decenni sotto il 2% e già schizzata al 12%, il reddito pro capite diminuisce, le diseguaglianze fra paesi (sviluppati e no), fra persone (poveri e ricchi), fra aziende (piccole e grandi) si allargano.
Cosa si è visto in Italia nel 2022?
In Italia l’export vale il 30% del PIL e dobbiamo assolutamente farlo crescere, ma dobbiamo anche lavorare per governare un nuovo modello di export che fronteggia la nuova globalizzazione riducendo quegli eccessi che – prima ancora del covid e della guerra – hanno portato alla crisi. Qui trovate le copertine su come le Newsletter Export 2030 hanno seguito quest’anno drammatico (chi non è ancora iscritto alla newsletter può rileggerle dal riquadro di ricerca Linkedin digitando Newsletter ExportItalia2030 ).
Abbiamo visto come che la crescita dei numeri dell’export è affiancata dalla crescita della divaricazione fra aziende capitalizzate di grandi esportatori rispetto alle MPMI che creano lavoro, ma senza le competenze per fare export e internazionalizzare sono destinate a restare piccole e, in prospettiva, a chiudere. Abbiamo visto come il tripudio sui risultati di un export che non beneficia chi intraprende e chi crea lavoro, ossia le piccole imprese del Made in Italy, non ha portato bene a chi lo ha strumentalizzato.
Abbiamo visto come le cabine di regia e i Patti per l’Export servano a poco se i patti non si mantengono, e se non è presente una regia con una visione chiara e obiettivi monitorati e verificati anche in termini di aumento in numero e in valore delle PMI esportatrici.
Cosa abbiamo imparato?
Abbiamo imparato che le misure come il voucher TEM che costano l’1% delle risorse del Patto per l’Export hanno portato competenze export qualificate in 2500 MPMI, avviando e consolidando la loro capacità di crescere all’estero e di creare nuovo lavoro. Abbiamo imparato che le politiche export di patrimonializzazione delle grandi corporate italiane sostengono spesso più la delocalizzazione che l’internazionalizzazione, e si traducono più in export di capitali che non in export di Made in Italy…
Abbiamo capito che affidare la politica di digitalizzazione alle grandi piattaforme di e-business multinazionali è un’azione che prima di tutto favorisce il loro crescente potere dominante, dando ai loro algoritmi e alle loro strategie corporate potere assoluto sulle nostre mpmi.
La digitalizzazione senza regole
Basta riflettere su questi numeri, che contrariamente a quello che può sembrare sono irrilevanti in termini di export reale e di crescita di aziende esportatrici, perchè prendere qulche ordine e-commerce non vuol dire esportare o creare posti di lavoro.
Sono numeri emblematici del business delle piattaforme multinazionali alle quali per ogni ogni vendita le aziende italiane pagano un tributo del 15-20%. Senza dimenticare, come sanno bene moltissimi operatori, che molte piattaforme lavorano praticamente senza regole e sono libere in qualsiasi momento di escludere o privilegiare i fornitori sulla base dei propri interessi o scelte strategiche.
Le piattaforme digitali sono uno strumento certamente utile, ma va governato portando competenze nelle mpmi, e non subito passivamente alimentando l’illusione che basta adagiarsi sui marketplace per diventare esportatori. La digitalizzazione senza regole affidata al dominio delle piattaforme rischia lo stesso effetto cui ha portato la globalizzazione senza regole.
Strategia coraggiosa che realizza visioni e azioni concrete
Ci auguriamo che la nuova governance del Sistema Italia, che abbina non solo un nuovo approccio MAECI e MIMIT ma anche un importante avvicendamento con nuovi manager alla guida di ICE, Sace, Simest, CDP, Invitalia, porti attenzione al fatto che l’export italiano, a maggior ragione nelle nuove politiche di globalizzazione che privilegiano i paesi “amici”, diventa una questione di competenze per le MPMI, e non solo di patrimonializzazione e capitalizzazione di organizzazioni già strutturate, siano esse Small o Big Cap.
A breve ripartono i rituali della cabina di regia per l’internazionalizzazione, che in passato era stata più una sfilata di notabili di apparati e grandi confederazioni che non uno strumento di governance che pone strategie coraggiose e obiettivi, e ne pianifica e verifica il raggiungimento. Faremo sentire la voce del think tank ExportItalia 2030, delle associazioni che lo sostengono come Uniexportmanager, FederItaly, AssoretiPMI in primis, degli export manager imprenditori, e soprattutto della community degli exportpeople che nell’export lavorano e ci credono, e che vedono nell’export delle pmi il cuore dello sviluppo del nostro paese.
Serve una Strategia coraggiosa che realizzi visioni e azioni concrete. Sia a livello politico, con una urgente e intelligente riallocazione delle risorse e delle priorità, Voucher TEM in primis, sia a livello imprenditoriale e manageriale, perché le opportunità che emergono dal nuovo ordine mondiale sono irripetibili per chi saprà sfruttarle.
Proseguiremo l’impegno nel 2023, pressando le istituzioni a porre obiettivi e porre in essere misure specifiche per aumentare il numero di aziende esportatrici, sostenendo la certificazione della professionalità degli export manager, diventata uno standard internazionale grazie alla Norma UNI, e raccontando le migliori storie di export management, cominciando dal 30 gennaio quando nel red carpet di Wine In Venice il Premio Export Italia avvierà la sua fase finale, premiando i vincitori e i migliori esempi di export in area vino.
Ringrazio i lettori che hanno avuto la bontà di seguire questo primo anno e condividere la newsletter: facciamo sentire la voce degli export people, la gente dell’export del Made in Italy. Buon Anno!
Giuseppe Vargiu,
Presidente Uniexportmanager
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