Dicono che l’export vola ma non dicono che…

“Vola l’export del Made in Italy” nonostante guerra, inflazione e pandemia è il messaggio che negli ultimi mesi rimbalza sui media con grande risalto. Tutto va bene, ci dice il mainstream che continua a portare avanti una sorta di pensiero unico dell’export.

Meno male, perché la community degli “export people” e soprattutto le aziende mPMI, quelle al di sotto dei 50milioni per intenderci, che l’export vola non se ne sono  proprio accorte.

L’unico dato ufficiale che permane drammaticamente sotto gli occhi di tutti, ma nessuno lo dice, è che appena l’1,3 per cento dei 6 milioni di aziende italiane fa business con l’estero. Se lasciamo i titoli dei media e approfondiamo i dati  ISTAT si scopre che sono appena ottantamila le aziende italiane che esportano. In realtà gli esportatori sarebbero 136mila, ma se contiamo chi esporta più di 75mila eur l’anno il numero si dimezza. Ma questo non ve lo dicono.

I grandi numeri sono divulgati in modo trionfalistico e superficiale su media e conferenze. Poco importa se i fatturati export provengono in massima parte  dalle corporate italiane, dalle partecipazioni statali, dalla vendita di armi o dalla raffinazione del petrolio. Tutto va bene, siamo contenti, per carità. Resta il fatto che il Sistema Italia le piccole aziende non le sostiene proprio. 

Il Patto per l’export

Ma come … direte voi… non c’era un Patto per l’Export con oltre 7 miliardi per finanziare il Made in Italy, la promozione, l’ecommerce, i TEM, la patrimonializzazione, le fiere, le piattaforme? Effettivamente il Patto per l’Export è  stato considerato pressochè unanimemente un’ottima misura di politica attiva per il sostegno della produzione nazionale, ma dopo le elezioni non se ne è più parlato. 

Sono cose che capitano in Italia, e non solo. Invece di verificare cosa ha funzionato e cosa va migliorato, si rimuove quanto realizzato prima e si distrugge anche quello che c’è stato  di buono. Che non è poco. E’ successo con Mussolini, Stalin, Saddam, volete che non succedesse con Di Maio che del Patto Export era stato il primo promotore? Riportiamo dal sito della Farnesina:

Varato l’8 giugno 2020 a seguito di un processo di concertazione che ha coinvolto oltre 145 Associazioni di categoria dei maggiori settori produttivi nazionali e sottoscritto da oltre 46 soggetti tra Ministeri, rappresentanze imprenditoriali ed enti di sostegno all’export, il Patto per l’Export è la nuova strategia di sostegno pubblico all’export concepita dalla Farnesina con l’obiettivo di supportare le imprese dinanzi alle conseguenze della crisi pandemica, fornire loro gli strumenti necessari per aumentare la propria competitività, sfruttare i benefici della ripresa post-pandemica e per contrastare gli effetti della crisi russo-ucraina

Il Patto per l’Export si compone di sei pilastri:

1. Comunicazione

 2. Formazione/informazione

 3. E-commerce

 4. Sistema fieristico

 5. Promozione integrata

 6. Finanza agevolata

Le risorse sinora stanziate per l’attuazione del Patto per l’export superano i 7,2 miliardi di euro. Tali risorse hanno contribuito alla ripresa dell’export dopo la contrazione sofferta nel 2020: nel 2021 l’export italiano ha infatti raggiunto i 516 miliardi di euro, in aumento non solo del 18% rispetto al 2020, ma anche di 40 miliardi rispetto al 2019..

Ce lo confermano quindi i dati ufficiali MAECI: abbiamo investito 7,2 miliardi e ottenuto, al lordo dell’inflazione, 40 miliardi di fatturato in più. Abbiamo perso 20mila aziende esportatrici. (questo non si deve dire). Da giugno i fondi Simest sono stati chiusi, e usati solo per le perdite delle aziende impegnate in Russia e Ucraina , come se l’export verso il resto del mondo non ne avesse risentito. Giudicate voi se il rendiconto finale è soddisfacente oppure no. Restano circa 1,4 miliardi l’anno già allocati strutturalmente  per sostenere l’export nei prossimi anni. Il  che, come dicevo, non è poco.

Abbiamo sbagliato tutto, o possiamo migliorare?

Le ingenti  risorse pubbliche allocate non sono andate a beneficio delle piccole imprese. E le notizie di boom trainate dall’ export delle small e big cap italiane  servono a dissimulare l’evanescenza dei risultati dell’azione istituzionale sulle mPMI. Ossia che da anni il 98% delle aziende italiane NON esporta.

Perchè succede

A pensar male si fa peccato e noi non vogliamo farlo. Diciamo che nel Patto per l’Export sono state elencate una serie si attività senza dichiarare gli obiettivi e senza misurarne l’effettivo raggiungimento. In questa newsletter lo diciamo chiaro da tempo: la verità è che c’è una totale mancanza di idee chiare e sugli obiettivi che deve raggiungere il Sistema Italia. 

Non c’è sufficiente consapevolezza dell’importanza di un settore che vale il 30% del PIL, e che potrebbe crescere molto di più in un mercato mondiale di 8 miliardi di persone. E’ del tutto ignorata l’importanza delle mPMI nel nostro sistema economico, come l’importanza di portare la cultura, mentalità, e competenza internazionale al loro interno.

Reimmaginare l’export: possiamo farlo

Sta a chi ci lavora far volare l’export, non a chi scrive i titoli nei giornali e nemmeno agli apparati burocratici. Vogliamo lavorare con un obiettivo chiaro: arrivare a 200mila aziende italiane esportatrici entro il 2024. Porsi un obiettivo è già un risultato. Nel Patto Export non è stato fatto. La teoria del management per obiettivi elaborata da Peter Drucker è sostenuta da due assunti:

1) chi fa proprio un certo obiettivo è disposto a impegnarsi di più rispetto agli altri obiettivi;

2) chi si aspetta che accada un certo fatto, contribuirà a farlo accadere veramente.

Il valore dell’obiettivo di 200 mila aziende esportatrici può quantificarsi in termini di crescita economica, occupazione e prosperità in misura pari ad almeno 3 volte l’investimento iniziale.

La Lunga marcia per 200mila aziende esportatrici

Vogliamo arrivare lontano. La visione condivisa ExportItalia 2030 è portata avanti con l’impegno e col cuore: dalle aziende innanzitutto, e dagli export manager che si candidano alla nomination del Premio Export Italia, ma anche da Associazioni che danno vita a nuovi modelli associativi e collaborativi incentrati sul Made in Italy, come Uniexportmanager, FederItaly, AssoretiPMI, esponenti illuminati di Banche, Istituzioni, e delle grandi Associazioni Imprenditoriali, e soprattutto dalla crescente community degli “export people”. Cerchiamo storie esemplari di export e  di exportmanager in grado da diventare i testimonial di come si può fare grande l’Italia nel mondo.

La lunga marcia è partita nel 2021, in piena pandemia, dalla Sardegna, la regione meno esportatrice d’italia, con uno straordinario successo che ha fatto emergere realtà incredibili. Nel 2022 siamo stati a Modena con BPERbanca, poi a Padova, a Venezia, a Roma con Federitaly, a Modena con AssoretiPMI, a Bologna con il Festival del Lavoro, a Cosenza con EEN e la Camera di Commercio, a Bari con Regione Puglia, a Milano con Unioncamere, Regione e le principali associazioni imprenditoriali, a Palermo con Sicindustria e EEN, a Firenze con Making Business Happen, e questi giorni torniamo ad Ancona con TheHive-SidaGroup e con CNA Ancona, a Milano. La selezione delle export story si concluderà a Napoli il 5 dicembre.

La marcia è ancora lunga per fare affermare nell’interesse condiviso di tutti le tesi ExportItalia 2030, ma noi ci crediamo, e sempre più numerosi a tutti i livelli, imprenditoriali politici amministrativi sono gli export people che nel reimmaginare l’export ci credono veramente.

I prossimi eventi per chi vuole cambiare l’export

Ci piace aprire con un evento online che interessa tutti gli export people italiani. Lunedi 24 ci troviamo con UNI Accredia Uniexportmanager e Imit in occasione del primo anniversario della Norma UNI 11823:2021 che pone lo standard professionale per le competenze export che dovrebbero raggiungere tutte le aziende italiane per smuovere vecchie mentalità e  modelli di business obsoleti.

Grazie per leggere e condividere questa newsletter.

Giuseppe Vargiu,
Presidente Uniexportmanager