Stiamo vivendo, non solo in Italia, una delle crisi più difficili dal dopoguerra a oggi: siamo nel mezzo di un conflitto che rischia di diventare nucleare; riprendono le incognite della pandemia; viviamo una crisi economica ed energetica che sembra destinata a provocare un effetto domino sui prezzi delle materie prime e dei prodotti alimentari. Siamo esposti sul fronte dell’approvvigionamento energetico. La prima pagina del Sole24Ore di oggi riporta un titolo anche più ottimistico della realtà che emerge dall’ultimo rapporto Centro Studi Confindustria.
Intanto in Europa decidono di non decidere. Se l’Europa non si muove l’Italia è totalmente ferma, anche perché dopo che abbiamo votato bisogna attendere la celebrazione dei riti post elettorali.
Sono in tanti che dopo il voto guardano e aspettano. Estote parati, fate attenzione, è il sacrosanto motto degli scout, ma il più grande errore che si può fare è stare fermi e passivi. E’ questo il momento in cui le organizzazioni (istituzioni, aziende grandi e piccole) hanno bisogno di porre in essere una strategia in grado di rafforzare competenze, persone, processi, struttura, e tecnologia per navigare tra i rischi crescenti di un panorama geopolitico discontinuo e in continua evoluzione.
Se le cose vi sembrano difficili ora sappiate che in futuro lo saranno ancora di più
Non lo dice la visone Exportitalia2030, lo scrive il rapporto Global trends 2040 del National Intelligence Council degli Stati Uniti. Nei prossimi due decenni, è probabile che i conflitti globali andranno ad acuirsi: “Nessuno Stato o Governo sarà in grado di dominare tutte le regioni del mondo, e sarà sempre più ampia la gamma di stakeholder globali che competerà per far avanzare le proprie ideologie, obiettivi e interessi”.
Insomma non ci sarà un vincitore e il mondo si polarizzerà, con le due egemonie prevalenti di USA e Cina e una serie di potentati che non sono solo le potenze relativamente minori come Russia, l’India, o l’Europa (molto meno perché divisa), ma anche le multinazionali e i colossi finanziari che già oggi dominano lo scenario.
Cosa possiamo fare noi poveri italiani?
Cosa possiamo fare noi Italiani con questo nuovo ordine mondiale che sta andando in pezzi e ricostituendosi?
Basterà riposizionarsi e correre in soccorso del vincitore, come la storia ci dice che i nostri connazionali siano abituati a fare? Pensate che nei mesi scorsi la parola PACE era considerata politically incorrect, chi la pronunciava poteva essere accusato di “Putinianesimo”. Sembra che ora le cose migliorino.
Non possiamo nemmeno diventare tutti survivalisti, anche se con l’aria che tira di missili Poseidon, e relative contromisure, qualche riflessione ci potrebbe anche stare.
Chi fa impresa, sostiene l’export, lavora sul commercio internazionale, deve agire ora e come minimo trovare una strategia all’interno di quelle non poche opzioni che sono chiare ed evidenti. E’ difficile fare le scelte giuste, ma fra quelle più sbagliate c’è sicuramente il non fare scelte.
La parola d’ordine: Resilienza
E’ l’ultima R del PNRR ma è la più importante. Vediamo qui come McKinsey declina le 6 dimensioni chiave della nuova resilienza geopolitica:
Cerchiamo di portare questa visione al livello delle piccole imprese esportatrici, anche perchè in sede di pensiero ExportItalia2030 è su di esse che siamo focalizzati. Il contesto geopolitico mondiale dev’essere compreso non solo da istituzioni e corporate, ma anche e soprattutto dalle imprese Italiane, che sono al 98% di piccola dimensione. Non può bastare esporre i costi della bolletta: il rischio vero è di chiudere perchè non si può pagarla. E magari qualcuno se ne rallegra!
Anche il sistema “corporate” italiano è in difficoltà. Nei recenti incontri fra industria e distribuzione, il presidente di Centromarca Francesco Mutti ha parlato del rischio di “desertificazione industriale, l’industria è sotto assedio su tre fronti: ci sono filiere che entrano in difficoltà per i costi dell’energia; altre filiere tengono ma i loro prodotti hanno difficoltà a essere venduti nel mondo: “A breve saranno fuori mercato perchè i concorrenti americani e asiatici propongono listini più bassi anche del 30% visto che a casa loro l’energia costa meno”. Infine c’è l’emergenza liquidità legata all’aumento delle materie prime e alle difficoltà a scaricare gli incrementi sul prezzo finale, con le banche che non ritengono l’industria maggiormente “meritevole di credito”. I surgelati, i comparti che usano gli oli come materie prime e la filiera del pomodoro sono i settori più sotto stress.
La proposta al nuovo governo è il taglio dell’IVA e la riduzione del cuneo fiscale e sussidi ai grandi produttori. Può bastare questo per sostenere la resilienza delle Piccole Imprese?
I soldi ci sono, ma le piccole aziende non li chiedono.
In realtà le risorse spesso ci sono. Lo vediamo col minibonus per l’export digitale ad esempio. Ma le aziende non ci credono, perchè temono la burocrazia, sono rimaste scottate da promesse non mantenute. Ma sopattutto perchè spesso non hanno capacità, competenze e organizzazione.
I piccoli comuni continuano e essere devastati da frane e inondazioni, ma non sono in grado di proporre progetti che porterebbero protezione e lavoro perché non dispongono delle competenze necessarie. Così le risorse non vanno a chi ne ha bisogno, bensì a chi è più strutturato per richiederle. Agli altri non resta che spazzare il fango quando arrivano le catastrofi ambientali. Succede col PNRR.
Per le aziende il rischio non è il fango o l’emergenza ambientale, il rischio è chiudere per sempre per la mancanza di competenze.
La soluzione MINCOMES
Quello che succede con il PNRR lo abbiamo già visto con il PattoExport, ottima intuizione dei passati Governi che dapprima hanno allocato sostegni mai visti sull’internazionalizzazione e sul Fondo394 per le PMI, dopo hanno lasciato che di questi beneficiasse in prevalenza il sistema Corporate, scippando alle piccole aziende esportatrici una risorsa che per definizione era loro destinata.
Ora qualcuno – per la serie riposizionarsi in soccorso del vincitore di turno – corre a richiedere la riesumazione del MINCOMES, il ministero del commercio Estero a suo tempo dependance del Ministero dell’Industria, magari collocandolo fra le nuove funzioni del Misitero dell’Agricoltura. Poco importa che siano scelte prive di senso. Quello che conta è riposizionarsi o aprire una casella del risiko del nuovo Governo.
Non servono proprio nuovi Ministeri, Agenzie, Sottosegretariati: molto semplicemente bisogna portare alle imprese le competenze che mancano. Non è difficile, basta volerlo fare.
All’Italia delle piccole imprese servono competenze
Tra le riforme settoriali previste dal PNRR, quelle relative alle competenze sono circoscritte all’innovazione ecologica e digitale, alle quali in modo indiretto si è cercato di ricondurre il sostegno a export e internazionalizzazione.L’altro tema è la formazione e orientamento che sono la base per disegnare un nuovo rapporto tra saper fare e mondo del lavoro.
Resta il fatto che sulle competenze Export, innovazione e digitale siamo in grande ritardo. Lo certificano diversi studi, concordi nel sottolineare le difficoltà del capitale umano e imprenditoriale ad avere dimestichezza con le competenze digitali e le abilità tecnologiche. Problemi noti, sui quali fatichiamo a migliorare. Resilienza significa aumentare le aziende esportatrici in coerenza con la la transizione ecologica e digitale.
Chi rema contro?
Il problema non è che non ci sono le competenze. Le competenze ci sono, e le risorse anche. Il problema è che le risorse finalizzate a favorire le piccole aziende e l’incontro fra domanda e offerta di lavoro e managerialità specializzata per commercio internazionale, digitale, innovazione sono dirottate verso altri obiettivi.
Lo dimostra il processo lento e costante negli anni che porta al calo del numero di piccole aziende esportatrici. I numeri parlano chiaro: per l’export abbiamo destinato risorse 5 volte superiori che negli ultimi anni, i volumi di export sono accresciuti di pochissimo tenuto conto dell’inflazione, il numero di aziende è diminuito di 20mila unità.
Qualcuno, non a torto, evidenzia questo incontrovertibile dato di fatto come segnale che ha prevalso una precisa volontà mirata alla progressiva distruzione delle piccole aziende e del loro export. Se non si cambia si continuerà a declinare. E a un certo punto la strada sarà senza ritorno. Ma nell’immobilismo generale per fortuna qualcuno si oppone al declino.
Il pensiero ExportItalia2030 a Roma il 14 ottobre con il Premio Export Italia
Le iniziative come il Premio Export Italia partono dalle piccole imprese e dai professionisti che vogliono far sentire forte e chiara la loro voce e le loro priorità ai nuovi inquilini del Palazzo. Il prossimo incontro sarà a Roma, ospiti di FederItaly.
Sarà un evento che favorisce l’incontro fra domande e offerta di competenze per le piccole imprese. Non si tratta del solito convegno o summit o stato generale o passerella di addetti ai lavori che si ascoltano e si parlano tra loro. La visione comune di associazioni di imprese come FederItaly e associazioni di professionisti dell’export come Uniexportmanager, una visione dimenticata da molti esponenti di organizzazioni sindacali o imprenditoriali, è quella di collaborare tra loro facendo diventare protagonisti i loro associati.
Con il pensiero ExportItalia2030 e le associazioni che lo sostengono, in particolare Uniexportmanager, Federitaly, AssoretiPMI, lavoriamo insieme per un nuovo modello di crescita fondato sulle mPMI esportatrici e sul raddoppiare il numero di aziende esportatrici, portando al loro interno le competenze necessarie.
Giuseppe Vargiu,
Presidente Uniexportmanager
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