La Francesco Economy
Sembra che l’unico ad avere idee chiare e proposte concrete per l’economia di un mondo impazzito dominato da interessi sovranazionali così potenti da asservire i governi ai loro interessi sia Papa Francesco, con la sua Economia di Francesco. Ecco qui un abstract del suo discorso e della sua proposta ad Assisi:
Un patto in cui i giovani economisti, imprenditori, changemakers, di ogni parte del mondo si impegnano, affinché “l’economia di oggi e di domani diventi una un’economia di pace e non di guerra, un’economia che contrasta la proliferazione delle armi, specie le più distruttive, un’economia che si prende cura del creato e non lo depreda, un’economia a servizio della persona, della famiglia e della vita, rispettosa di ogni donna, uomo, bambino, anziano e soprattutto dei più fragili e vulnerabili, un’economia dove la cura sostituisce lo scarto e l’indifferenza, un’economia che non lascia indietro nessuno, per costruire una societa’ in cui le pietre scartate dalla mentalità dominante diventano pietre angolari
Piccole imprese scartate da chi promette export per tutti ma elargisce sostegno a pochi
Ecco qui il tema: le pietre scartate dall’economia dominante. Fra di esse le piccole imprese, che sono il 90% delle aziende italiane, e in particolare quelle che potrebbero esportare per crescere e creare lavoro e prosperità. Al termine della campagna elettorale più brutta di sempre stiamo andando a votare.
Le piccole imprese del Made in Italy e chi lavora duramente con loro sui mercati lo sa bene. Non saranno queste elezioni a cambiare una visione dominante che a parole promette tutto giocando sull’equivoco del termine PMI (che include aziende con 250 occupati e 50milioni di fatturato) e nei fatti lavora per la distruzione creativa della piccola impresa e dell’attività produttiva nazionale a favore del sistema corporate internazionale espresso dalla posizione dominante e incontrastata di piattaforme e colossi economico finanziari.
I veri numeri dell’export del Made in Italy
In attesa dell’overdose di numeri che verrà puntualmente propinata a chi ama le maratone televisive elettorali cerchiamo noi di dare alcuni numeri molto semplici e incontrovertibili:
Su un totale di 4,2 milioni di imprese attive in Italia (Istat 2019), le medio-grandi sono 4.057 (0,1%), il resto è costituito dalle piccole imprese sotto i 10 milioni di fatturato che valgono il 95%, e dalle medie (fra i 10 e i 250milioni) che sono il 5% delle aziende sul totale. La Banca d’Italia, nel rapporto del 7 luglio 2022, individua come “il problema italiano stia nel numero elevato delle microimprese che registrano livelli di produttività modesta mentre è ridotto il numero delle medio-grandi”.
In altre parole, secondo la nostra Banca Centrale, che propone qui una tipica espressione del pensiero economico dominante a livello internazionale, è colpa delle aziende che sono troppo piccole e troppo esposte ai molteplici rischi che continuano a emergere, passando attraverso il susseguirsi di crisi finanziaria, pandemica, ambientale, senza neanche considerare guerra o inflazione. Sono loro il problema. Sarà forse il caso di sopprimerle?
Quanto investe veramente lo Stato sull’export del Made in Italy?
L’economia italiana vale 2.100 miliardi e si riesce a mantenere una rispettabile quota del 2% del PIL Globale. L’export nazionale vale 560 miliardi, e potrebbe crescere molto di più se si investisse con determinazione sul fare crescere ed esportate le centinaia di migliaia di mPMI in grado di farlo.
Il sostegno all’export non è una spesa è un’investimento
La politica, con il Patto per l’Export, ha reso disponibile risorse mai viste in precedenza per sostenere l’export che è il motore della nostra economia. Parliamo di oltre 1,2 miliardi, già esauriti per quest’anno, e allocati in bilancio anche per le prossime annualità. Risorse dirottate in massima parte a beneficio delle aziende medio grandi e la propaganda degli apparati, ma questa è un’altra storia. Ora, vi sembra che su un export di 560 sia sufficiente investire 1,26, ossia appena lo 0,22% per la crescita internazionale del Made in Italy?
Per dire… una microimpresa che fattura 100.000 eur, con 220 eur non paga neanche mezza bolletta, altro che promozione. E intanto i nostri apparati si gloriano perché grazie allo 0,22% di risorse allocate sull’export secondo loro abbiamo raggiunto risultati mai visti prima.
La verità è che chi investe zero ottiene zero, e che per l’export italiano totale, trainato da corporation multinazionali e società pubbliche come l’ENI, queste misure sono irrilevanti. Si sarebbero comunque raggiunti gli stessi numeri mirabolanti, grazie ai meccanismi congiunturali del commercio internazionale.
Il numero della aziende esportatrici è il vero indicatore del successo delle politiche attive di sostegno all’esportazione
Da oltre 5 anni il numero delle piccole aziende esportatrici decresce.. le risorse per l’export sono inadeguate, come abbiamo visto, e molto di più lo sono quelle che pervengono alle aziende che più ne avrebbero necessità, e che maggiormente potrebbero farle fruttare. Solo far crescere in numero delle aziende esportatrici (oggi circa 120mila su 4milioni) può documentare l’efficacia del sostegno della politica all’export del Made in Italy.
Che fino ad oggi, se ci è stato, è stato palesemente inefficace, anzi ha innescato un trend lento ma continuo di decrescita dell’export delle piccole imprese, e ha progressivamente allargato la divaricazione fra grandi esportatori e piccoli produttori. Non sono le piccole aziende che non vogliono crescere ed esportare: fra gli export people c’è tutta la volontà e la potenzialità per farlo.
La vision ExportItalia2030
La visione ExportItalia2030, sostenuta da coloro che vedono nell’export il cuore dello sviluppo, nelle mPMI il cuore dell’export, negli Exportmanager il cuore delle mPMi, e portata avanti dalle iniziative di organizzazioni che sanno far collaborare attivamente i propri associati senza essere fagocitate dagli apparati consociativi di un sistema che tutela altri interessi. Associazioni come Uniexportmanager, AssoretiPMI, FederItaly, sono in prima fila per portare avanti nuovi modelli di collaborazione e azioni di vero sostegno all’export.
La nostra proposta è il voucher export collaborativo, non una semplice riedizione del voucher TEM o della pletora di bonus più o meno digitali e sostenibili, ma un intervento che accresca le risorse destinate a sostenere l’export. E nel suo ambito misure che investano almeno 200 M eur per contribuire al raddoppio delle aziende esportatrici portando al loro interno le competenze exportmanager presenti e codificate come standard nella norma UNI 11823:2021.
Diffondiamo questo pensiero in tutta Italia nel corso del roadshow del Premio Export Italia, che non cerca i grandi campioni di fatturato, esempi improbabili per le mPMI, ma aziende e exportmanager in grado di testimoniare e condividere il cuore creativo dell’export del Made in Italy.
Abbiamo presentato il report di ExportPlanning sull’ evoluzione dell’export regionale, aperto la selezione delle export story con un evento in presenza nel cuore del veneto delle mPMI produttive… a breve porteremo il pensiero ExportItalia 2030 a Milano, Roma, Bari. Cerchiamo storie che contribuiscono a far grande l’Italia. Anche Papa Francesco ha chiesto di far sentire alta la nostra voce in favore delle mPMI che vogliono crescere con il business internazionale collaborativo.
Giuseppe Vargiu,
Presidente Uniexportmanager
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