Gli export people, ossia le persone e le imprese che lavorano nel commercio internazionale del Made in Italy difficilmente si riconoscono nelle standing ovation tributate a coloro che hanno guidato Italia ed Europa all’attuale contesto politico ed economico.

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Spiace vedere questa ripresa fineagostana inquinata da una campagna elettorale brutta, priva di idee, piena delle solite improbabili promesse, candidati ancora più improbabili calati dall’alto, che delle cose drammatiche che stanno accadendo si occupa solo in funzione di un tornaconto propagandistico. Ultimamente, causa anche la drammatica evidenza delle bollette e dello scandalo di un gas pagato 10 e rivenduto a 100, tutto il dibattito si incentra sul gas.

Il rischio: pagare l’energia tre volte più di Cina e Usa. Ora e sempre.

Il problema non è che il gas arrivi a 400eur (era a 40 eur per MWh), e nemmeno il razionamento. Oggi gli Usa pagano il gas un decimo dei Paesi europei. La nostra industria è in una posizione drammatica. Immaginiamo lo scenario migliore: guerra finita, rigassificatori di nuovo in funzione: anche in quel caso pagheremmo il metano il doppio o il triplo degli Stati Uniti e della Cina. Stiamo costruendo un’Europa strutturalmente debole sull’energia”. Ce lo dice uno che di energia e mercato internazionale ne sa abbastanza:

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Paolo Scaroni, dalle pagine della Stampa:

“L’Europa dovrebbe pensare soprattutto a una politica energetica per il futuro, per evitare di avere prezzi più alti di tutti anche quando la crisi sarà superata”

L’ipotesi che Mosca arrivi a 400 euro per megawattora secondo Scaroni “è verosimile. Ed è giusto che i governi ragionino su piani per calmierare le bollette di famiglie e imprese, come sta facendo anche l’esecutivo italiano. Il tetto del gas? I fatti dicono che molti Paesi europei non lo vogliono. Tra l’altro il rischio è che non si risolva il problema, perché il metano potrebbe trovare altri compratori in giro per il mondo (Giappone, Corea, Cina). E in questo caso davvero l’Europa rimarrebbe sprovvista”..

Le cause sono strutturali e coinvolgono molteplici fattori: dall’abbandono dei contratti con Gazprom, all’enorme speculazione sui mercati futures e, soprattutto il conflitto geopolitico tra Europa e Russia, che gli USA si sono guardati bene dall’ostacolare, anzi. Una condizione di precarietà che costringe i Paesi europei e la Germania in particolare, a tornare all’uso del carbone e del petrolio, per arginare la recessione in atto. Si delinea un’Europa sempre più disunita e decadente e sottomessa dal punto di vista economico e politico.

Se tutto va bene siamo rovinati

Si parla di ristori, tetto del gas, misure provvisorie ma non si vede traccia di una visione energetica per il futuro, per evitare di avere prezzi più alti di tutti anche quando la crisi sarà superata. Esiste qualcuno che pensa al dopo? qualcuno che proponga visioni strategiche che preservino  il nostro paese che è stato per decenni uno dei primi paesi paesi manifatturieri, dalla catastrofe?

Quando la  visione si ferma al 25 settembre

Il lavoro, le PMI, il clima, la recessione, i diritti, il prezzo del gas, l’inflazione, l’economia, i rincari, la guerra non sono problemi da risolvere ma solo strumenti di una propaganda a cui assistiamo attoniti, qualche volta applaudendo il potente di turno, come accaduto al meeting di Rimini i giorni scorsi. 50 anni fa Fellini riportava quello cha accadeva a Rimini 90 anni fa: il film, nel senso dell’approccio italiano sempre in soccorso del vincitore, non è troppo diverso da oggi.

E ora l’export: visione strategica europea vs visione export italiana

Se l’europa non ha visione strategica del contesto globale dell’energia e dell’impatto dell’aumento dei costi sulle nostre produzioni ed esportazioni , qual’è la visione strategica del nostro paese?

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Un paese storicamente esportatore, che dall’export genera un terzo del prodotto lordo, a fronte di rincari e diseconomie che andranno a impattare drammaticamente non solo sull’immediato, ma anche stabilmente sulla struttura di export e turismo di qui al 2030, cosa pensa di fare?

La vision 25 settembre: andrà tutto bene

 Tranquilli:

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Tutti gli schieramenti hanno risposte pronte, valgono anche per l’export, e una call to action rivolta agli italiani : votarli il 25 settembre. Vale anche per l’export. Una volta sbrigata questa piccola formalità del voto si ricomincia da capo, l’ha detto anche Draghi, con qualsiasi governo andrà tutto bene. Ci sentiamo davvero rassicurati.

La visione ExportItalia 2030

Non possiamo applaudire la mancanza di idee per lo sviluppo dell’export. Pensiamo che solo il lavoro delle Piccole Imprese e un fattivo sostegno alla loro competitività sui mercati internazionali possa fare la differenza per accompagnare il paese a un futuro economico realmente sostenibile. Il costo dell’energia impatta in modo assolutamente limitato sull’unicità della miriade di piccole aziende italiane, sull’ artigianalità, sul know how, sulla creatività , sulla cultura, sulla bellezza, sull’intelligenza su tutto quello che è da secoli il Genio Italico.

Il problema vero sono le diseguaglianze crescenti e il peso sempre maggior che grava sua aziende e persone che lavorano e producono privilegiando finanza, burocrazia, rendite parassitarie. Vogliamo combattere quelle istituzioni che col pretesto delle sostegno alle piccole imprese si pongono al servizio dei più forti. Con la community degli export people lavorano Uniexportmanager, Federitaly, AssoretiPMI e tanti altri operatori illuminati che vogliono dare un nuovo impulso anche all’interno delle incrostazioni presenti nelle grandi associazioni e negli apparati istituzionali.

E’ una visione dichiaratamente apolitica e apartitica. Vogliamo dare idee e nuovi stimoli a imprenditori, manager, e a quegli operatori pubblici e associativi illuminati per opporsi al groviglio di lobby, interessi e apparati che di fatto impediscono la formazione di un sistema export italiano che cresca veramente nel tempo. La misura della crescita è il numero di aziende esportatrici. Il fatto che da molti anni il loro numero sia in calo è la misura dell’inefficacia delle azioni che sono state poste in essere finora.

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Ce lo conferma l’ultimo rapporto ICE-Istat sul commercio internazionale, non a caso pubblicato quest anno in tono dimesso. Sempre meno aziende esportatrici, anzi sempre meno imprese.

 Ricorrere al Papa

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In chiusura devo citare un grande economista, Stefano Zamagni, non a caso presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, sostanzialmente  ignorato dagli applauditori e dai media di Rimini, che anticipa una imminente pronuncia del Papa sui temi dell’economia perché, l’assunto di base, le cose non stanno andando affatto bene e ci vuole una forte scrollata a governi e decisori del mondo.

“La disuguaglianza è l’espressione peggiore delle istituzioni economiche messe al servizio dei più forti, dei vincenti, di quelli che hanno migliorato le proprie condizioni di vita attraverso le crisi che hanno funestato il pianeta.”

Zamagni ci parla di quattro le “strutture di peccato” sulle quali occorre intervenire per costruire una società più giusta e solidale, in grado di assorbire davvero quelle enormi disuguaglianze:

Al primo posto c’è l’impianto fiscale che premia i patrimoni a dispetto del reddito. Al secondo, la cultura della rendita che mortifica profitti e salari esaltando una finanza fine a se stessa e per questo distruttiva. Al terzo, le leggi che consentono di avere una crescita senza lavoro con macchine che sostituiscono l’uomo anche quando sarebbe possibile evitarlo. Al quarto, il sistema che accetta metodi di produzione nemici dell’ambiente e degenerativi del clima con conseguenze devastanti per la Terra e i suoi abitanti.

Ci vediamo a Firenze l’8 settembre

Riparte il roadshow del Premio ExportItalia, che porta alla ribalta storie ed esperienze degli export manager e degli imprenditori che con il loro lavoro fanno grande l’Italia.

Giuseppe Vargiu,
Presidente Uniexportmanager