Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dal fare export

Tranquilli. Non stiamo parlando dei regolamenti tipo bonus export digitale o dei bandi regionali per le agevolazioni export. E nemmeno parliamo di politica, anche se gli accadimenti di questi giorni ci tentano. Si dice che i regolamenti cui i piloti americani erano soggetti durante la guerra mondiale (l’ultima, non quella attuale) contenessero il famoso Comma 22:

«Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo.»

Non si sa se questo comma sia mai esistito veramente.

Venendo al Made in Italy, con l’aria che tira si potrebbe pensare che molti imprenditori e manager siano completamente pazzi per imbarcarsi su nuovi progetti export e internazionalizzazione. Il contesto che si sta delineando, unito a una crisi di governo priva di senso, ci consente di trovare mille pretesti per rinunciare ed tirarci indietro, come i piloti americani che dichiarano di essere pazzi. Tanto più che fa caldo ed è tempo di andare in vacanza.

Resta il fatto che il commercio internazionale non va in ferie come gli impiegati del catasto. Le difficoltà per fare export effettivamente non sono mai state così tante, ma allo stesso modo non ci sono mai state cosi tante opportunità. Il business internazionale si evolve insieme a pandemia, guerra, inflazione: governarlo è una missione che è diventata non soltanto importante, ma vitale e irrinunciabile per le aziende, soprattutto quelle medio piccole. Ma come tirarsi fuori dai rischi di un progetto export nell’attuale incerta congiuntura, e come intercettare le opportunità emergenti?

Cosa dicono Confindustria ICE e Prometeia

Secondo i rapporti usciti questi giorni le cose non stanno messe tanto bene. Lo scenario è molto incerto per l’Italia, risultante di fattori che agiscono in direzioni opposte. I prezzi dell’energia sono vicini al picco, i tassi e lo spread sono al rialzo. L’Inflazione è più elevata e persistente, determinando rischi per i consumi. L’industria resiste, nei servizi è atteso un rimbalzo, per l’export prospettive difficili. L’Eurozona è in crescita ma con segnali di debolezza, negli USA riviste al ribasso le previsioni.

Per l’export prospettive difficili. Il valore dell’export è in aumento, per la crescita dei prezzi, ma in volume la dinamica è piatta a marzo-aprile. In aumento le vendite extra-UE a maggio (+4,7%), con forte contributo del mercato USA dove le merci italiane sono favorite dall’indebolimento dell’euro; in calo, invece, le vendite in Russia e Cina. Le prospettive sono difficili: maggior calo a giugno degli ordini esteri del PMI manifatturiero e debole commercio mondiale (-0,3% a febbraio-aprile); in espansione l’import di USA e UK, stabile quello dell’Eurozona, in calo quello della Cina. Lo scenario per gli scambi è negativo: PMI globale sugli ordini manifatturieri in zona recessiva per il quarto mese a giugno. Ma ci sono segnali di allentamento dei colli di bottiglia negli approvvigionamenti, grazie alla ripresa dell’attività dei porti cinesi a maggio, e alla risalita della produzione in Cina a giugno (solo +0,4% il PIL nel 2° trimestre).

Qui trovate la sintesi del XIX rapporto annuale ICE – Prometeia, Evoluzione del Commercio con l’Estero per Aree e Settori, pubblicato a luglio, che quest’anno è stato passato sotto silenzio, probabilmente oscurato dalla crisi.

I punti d’attenzione per le imprese

Quali sono le indicazioni che ci vengono da questi autorevoli studi? Cambia praticamente tutto nel commercio internazionale e domina l’incertezza. Il primo suggerimento che viene dallo studio è quello di valutare i paesi esteri non solo come mercati, ma come veri e propri partner strategici: ossia non solo export ma anche sourcing di materie prime, nuovi modelli collaborativi, diversificazione produttiva.

Pricing: discontinuità volatilità e inflazione caratterizzavano i prezzi solo sui mercati emergenti. Ora diventeranno la norma anche sui mercati maturi relativamente stabili negli ultimi anni.

Gestione del rischio: le aziende italiane sono poco abituate a proteggersi da rischi commerciali, inflattivi, geopolitici, di cambio: pensiamo alla parità euro dollaro raggiunta in pochissime settimane che ha penalizzato gravemente chi non si è protetto.

Lo scenario descritto nel Rapporto chiama le imprese a gestire un’internazionalizzazione diversa rispetto al passato, che recepisce l’eredità della pandemia e si adatta a un nuovo corso degli scambi seguito all’invasione russa. Se lo shock Covid aveva impattato soprattutto dal lato settoriale delle importazioni (privilegiando per esempio nella ripresa i settori più legati alla salute e alla tecnologia), con la guerra sono anche le coordinate geografiche a essere messe in discussione. È probabile che il conflitto in corso rappresenti un punto di non ritorno per un’internazionalizzazione guidata soprattutto da fattori economici.

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E non si parla ancora dell’incombente scenario legato al consolidarsi del blocco dei BRICS, con la decisa tendenza geopolitica a un sistema commerciale che tende a rendersi indipendente dall’influenza geopolitica del dollaro sul quale sembra appiattita l’Europa. Nei BRICS rientrano Turchia, Russia, Cina, India, Brasile.

E’ vero che siamo fortemente collegati all’atlantismo e abbiamo un fortissimo legame con gli USA, ma come si fa a ignorare due terzi della popolazione mondiale? Più che un singolo mercato, dalla fase attuale esce infatti ridimensionato, perché rivelatosi non sostenibile, un modello di sviluppo estero. In altre parole, va ripensata una strategia che guardava solo alla crescita dei mercati obiettivo, senza valutare per esempio il livello di rischio politico, lo stato di diritto, la distribuzione della ricchezza nei paesi. Le previsioni del Rapporto mostrano tassi di crescita delle importazioni mondiali ancora positive, ma la sfida per le imprese italiane sarà quella di trovare quelle più compatibili al proprio modello.

Si tratta di un nuovo equilibrio negli scambi che chiuderà alcune porte, ma ne aprirà altre, per esempio intercettando la domanda di attrezzature e impianti per la riorganizzazione delle filiere su scala regionale, un processo a cui le imprese italiane  possono contribuire attraverso  la fornitura di tecnologia e lavoro.

Come affrontare la crisi

  • La nuova globalizzazione non sarà più tale: ossia non sarà globale, e si deve ricominciare da zero attraverso nuovi modelli di creazione del valore che richiedono molto coraggio.
  • L’impresa e l’imprenditore sono la base: senza coraggio e determinazione, una rinnovata visione pensare di fare export con successo è da pazzi.
  • L’acquisizione delle competenze: export digitale, analisi di dati complessi, padronanza delle lingue, cultura logistica. Lo diciamo da sempre, servirebbe un export manager in ogni azienda.
  •  I nuovi modelli e strategie di export collaborativo inventando nuovi schemi (candidature e nomination benvenute su premioexportitalia.it).
  • Un sistema pubblico che lavora determinato sull’obiettivo di aumentare le PMI esportatrici e il loro valore, nella consapevolezza che più export porta più lavoro e più prosperità.

Conclusione

Bisogna essere pazzi e visionari  per pensare di affrontare l’export di questi tempi, ma non si può farne a meno.

Giuseppe Vargiu
Presidente Uniexportmanager