Ho visto che in occasione della festa della Repubblica è passata una narrazione dell’export delle piccole imprese MadeinItaly incentrata sul messaggio che esportare e diventare digitali equivale a essere presenti sulle grandi piattaforme b2b e b2c.
L’export business digitale, anzi l’export tout court, si fa attivando un mix di strumenti e risorse, fra i quali il corretto uso della piattaforme B2B e B2C. Ma non è che siccome un’azienda si attesta su Amazon o su Alibaba, o carica le sue offerte sulle migliaia di e-marketplace internazionali, a quel punto diventa esportatrice. Passare questo messaggio è diseducativo, incompleto, illusorio e sbagliato.
Abbiamo apprezzato l’impegno di un Patto per l’Export che ha reso strutturali per 5 anni risorse mai viste per l’export e l’internazionalizzazione, con priorità (in teoria) alle PMI. Apprezziamo molto meno quando vediamo queste risorse sfruttate in modo improprio.
L’obiettivo dichiarato nelle cabine di regia, nei convegni istituzionali, negli stati più o meno generali non è facile da raggiungere: accrescere il numero delle aziende esportatrici e il volume del loro export. Molto più comodo e facile sbandierare il numero di aziende Made in Italy presenti sulle piattaforme ebusiness e farlo passare per aumento del numero di aziende esportatrici e del numero di aziende digitali.
Secondo me questa non è una azione positiva per l’export e nemmeno per la digitalizzazione: io semplicemente la chiamo propaganda.
Ma cosa è la propaganda?
La propaganda, come azione intesa a conquistare il favore di un pubblico, è un’attività vecchia quanto l’uomo, presente in ogni tempo, luogo e dimensione sociale. Il termine propaganda nasce in contesto religioso quando la Chiesa cattolica nel XVI secolo organizza, come contrattacco alla diffusione del protestantesimo, una Congregatio de propaganda fide, un dipartimento preposto alla propagazione della fede cattolica.
Originariamente il termine non intendeva riferirsi a informazioni fuorvianti. Il moderno significato di propaganda, invece, risale all’uso che se ne fece a partire dalla prima guerra mondiale. La propaganda presuppone l’utilizzo della comunicazione per trasmettere un messaggio, un’idea o un’ideologia:
La battaglia del grano fu una campagna lanciata durante il regime fascista per perseguire l’autosufficienza produttiva di frumento dell’Italia. La campagna ebbe successo nell’ottenere l’aumento della produzione nazionale di grano e nella conseguente diminuzione del disavanzo della bilancia commerciale, ma andò a scapito di altre colture, specialmente di quelle basilari per l’industria zootecnica e, in genere, dell’armonico sviluppo dell’agricoltura nazionale.
La guerra dell’export non si vince con la propaganda.
L’export è una cosa seria. Vale un terzo del PIL e può essere il cuore dello sviluppo e della stabilità futura del nostro paese. E quando parliamo di export delle PMI l’export diventa anche un formidabile strumento di benessere sociale e creazione di lavoro.In realtà i grandi numeri dell’export italiano non sembrano andar male. Premesso che fare export senza strumenti digitali e competenze per usarli non è cosa, partiamo dai numeri export del primo trimestre 22.
Dice Coldiretti : Record storico per l’export agroalimentare (+21,5%):
Con un balzo del 21,5% è record storico per le esportazioni alimentari Made in Italy nel 2022 anche se a preoccupare sono gli effetti del conflitto in Ucraina, con i rincari energetici stanno colpendo i consumi a livello globale. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti sui dati Istat sul commercio estero relativi al primo trimestre del 2022. Le esportazioni alimentari nazionali sono in aumento sul record annuale di 52 miliardi fatto registrare nel 2021 Un vero boom , ma pesa il crollo del 25,1% in Cina e anche quello in Russia che con l’avvio della guerra e le sanzioni nel mese di marzo fa registrare un crollo del 41,2% rispetto al mese precedente. A trainare la crescita ci sono prodotti base come il vino è l’ortofrutta fresca. A preoccupare sono gli effetti diretti ed indiretti della guerra con la chiusura dei mercati dove sono scattate sanzioni che si aggiungono alle difficoltà per i pagamenti internazionali..
Chi fa l’export in Italia?
All’aumento dell’export non corrisponde aumento delle aziende esportatrici. E nemmeno la riduzione di un italian sounding che vende due volte più del prodotto originale, sostenuto anche dal nostro nation branding, e che continua a prosperare perché le PMI all’estero non ci sono.
Ci sono i grandi gruppi e le grandi piattaforme. Per esempio il mercato del vino è per due terzi appannaggio dei grandi gruppi, alcuni dei quali di proprietà di multinazionali. Il loro obiettivo è favorire i propri azionisti e non certo lo sviluppo del madeinitaly. Stesso discorso vale per le mega piattaforme marketplace, che stanno arrivando a egemonizzare anche i canali retail GDO.
La trasformazione digitale dell’export
Citiamo, riprese dai più recenti resoconti stampa:
ICE: “Abbiamo all’attivo 33 accordi B2C e B2B, vere e proprie vetrine del Made in Italy, in tutto il mondo a cui partecipano 7100 PMI italiane. E la collaborazione con Amazon, una delle prime avviate nel 2019, rientra in questa strategia per aiutare le nostre imprese a vincere la sfida dei mercati.”
Amazon: tra le iniziative a sostegno del Made in Italy, si è portato in America una delegazione di piccole e medie imprese italiane che vendono prodotti della nostra manifattura – dal cibo alla moda al design… Grazie alla preziosa collaborazione con ICE, oggi sono 4.500 le piccole e medie imprese ed i piccoli produttori presenti sulla Vetrina Made in Italy, con più di 1 milione di prodotti disponibili..”.
Per parte sua la nuova ricerca di Alibaba Group in collaborazione con YouGov rivela un divario nell’export in Europa e le criticità che ostacolano l’espansione digitale delle piccole e medie imprese in UE, pone l’accento sul crescente divario digitale tra le PMI e sul suo ruolo per contribuire a ridurlo.
In sé non è certo sbagliato sostenere la presenza delle aziende italiane nelle grandi Piattaforme digitali. Chi scrive è stato tra i primissimi a farlo, inascoltato, quando ancora il business estero sui marketplace era sconosciuto. Ma se non lo fa nessuno lo facciamo noi, con la visione ExportItalia 2030: va ricordato il grave pericolo di mettere le PMI nelle mani dei colossi dell’E-Business, sostenendo di fatto le strategie di questi ultimi senza facilitare l’indispensabile rafforzamento delle imprese con l’acquisizione delle necessarie risorse, capacità, e abilità. Le aziende italiane esportatrici sono 123mila, quelle sulle piattaforme sono 7mila: di cosa stiamo parlando? Non può essere questa la trasformazione digitale dell’export.
Dire che l’aumento delle PMI sui marketplace equivale ad aumentare il numero di aziende esportatrici non corrisponde alla realtà. Se vogliamo fare propaganda, diciamolo chiaro. Anche quella deve esserci. Ma se vogliamo sostenere l’export italiano, creare lavoro, fermare il calo delle aziende esportatrici, e possibilmente raddoppiarne il numero, dobbiamo portare competenza export e capacità di export management nelle aziende medio piccole.
Export Digitale è questione di cultura e di lavoro non di propaganda
Lo dimostra la ricerca Osservatorio Marketing B2B – Marketing Arena – Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari, che evidenzia un cambio di rotta per le aziende B2B che negli ultimi anni hanno inglobato il digitale in modo importante nelle proprie attività di marketing:
La ricerca evidenzia che le aziende B2B fra i 10 e i 15milioni di fatturato iniziano a discostarsi dal marketing tradizionale e ad aprirsi a nuove logiche B2C e B2B , scoprendo nuove dinamiche che possono essere utilizzate efficacemente. La cultura che si crea in azienda è emersa come filo conduttore, capace di influenzare in modo decisivo l’adozione del digitale come presupposto di un nuovo più efficace modo di lavorare. Le attività di lead generation digitale sono ben consolidate e implementate ormai da oltre il 60% delle imprese intervistate. Va affermandosi, inoltre, l’importanza delle operazioni di nurturing come attività fondamentali nel percorso di acquisizione di nuovi clienti. Il marketing digitale è uno strumento che può essere trasversale alle funzioni e proprio per questo non è sufficiente attestarsi su qualche marketplace o attivare un e-shop. E’ necessaria la diffusione organica della cultura digitale a tutti i livelli per il raggiungimento degli obiettivi dell’azienda. Acquisendo le necessarie competenze.
Resta la forte divaricazione fra aziende sopra e quelle sotto i 10 milioni di fatturato, e la persistente tendenza alla riduzione del numero delle aziende esportatrici. E’ questo il tema: l’export potrebbe raddoppiare in volumi e numero di esportatori con misure più appropriate di quella schierate finora.
Bisogna che anche le aziend medio piccole acquisiscano questa cultura e la consapevolezza di impegnare o acquisire risorse nell’export e nel digitale, senza illusioni di facili scorciatoie.
La nuova cultura ExportItalia 2030
Lavoriamo per portare un impulso di rinnovamento nell’export del Made in Italy attraverso l’esperienza di aziende che hanno trovato percorsi efficaci e vincenti e si propongono di condividerli come testimonial.
Non cerchiamo chi fa il business delle piattaform, cerchiamo storie vere di imprese vere che fanno il vero export delle piccole grandi aziende del Made in Italy di qualità.
Candidarsi o proporre una Nomination è facile, basta andare sul sito Premio ExportItalia e raccontare la propria exportstory in 150 parole. Le export story la cui candidatura viene approvata sono riconoscibili con questo banner:
I prossimi appuntamenti con il Premio ExportItalia e i suoi partner sono il 10 giugno ore 16:00 (Webinar Uniexportmanager), il 14 giugno sempre ore 16:00 Evento con AssoretiPMI, il 21 giugno a Cosenza, ore 11 in presenza, organizzazione Unioncamere.
Giuseppe Vargiu,
Presidente Uniexportmanager
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