Siamo in recessione

E’ ufficiale, arriva la recessione, aggravata dall’inflazione, la tassa sui poveri. E’ la fine delle illusioni che saremmo stati la locomotiva d’Europa e il boom dell’export. Molti segnali sono stati ignorati e altri sono stati esaltati: l’immagine portata da Tremonti del bus a due piani del trionfo calcistico europeo schiantato subito dopo nella Macedonia del Nord è emblematica.

Si risponde alimentandola ulteriormente? Reagiamo in due modi: facendo piste ciclabili (poi vi spiegherò cosa c’entra)  e mandando altre armi  per prolungare la devastante guerra in Ucraina. In nome di quello che lo stesso  Eisenhower chiamava Military-Industrial Complex. Parliamo di quell’insieme di interessi militari che stanno dietro gran parte dalle guerre degli ultimi decenni, ovvero la fabbrica della guerra.

Sono questi interessi che, come dice oggi lo stesso Papa Francesco hanno alimentato la guerra ucraina. Con il consapevole supporto di un Putin che ha deciso di passare alla storia come tiranno sanguinario.

La fine della globalizzazione e delle dottrine liberistiche era in atto già dai tempi del subprime. La guerra in Ucraina è solo l’ultima la conseguenza della prevalenza senza limiti delle lobby finanziarie e militari.

Non è solo colpa della guerra

Che non sia soltanto colpa della guerra emerge chiarissimo da questa grafica del Centro Studi Confindustria che ha appena presentato un tempestivo e utilissimo report di previsione sul futuro della nostra economia:

Nel seguito di questo post accludiamo le slide di presentazione di Alessandro Fontana, direttore CSC Confindustria e i commenti del Presidente Bonomi.

E adesso?

Di seguito  i dati del rapporto CSI Confindustria, che descrive uno scenario base, (giustamente non hanno avuto il coraggio di chiamarlo ottimistico),  fondato sulla cessazione della guerra in luglio, affiancato da uno scenario avverso, e da un ultimo scenario catastrofico.

Slide-Fontana-Confindustria

I numeri sono spaventosi, si parla di 68 miliardi di caro energia, e si innestano sulla fine di una globalizzazione nella quale la finanza mondiale sta alla realtà produttiva in rapporto  di tre a uno, come mai nella Storia.

Autolesionismo?

Non ci sembra che la risposta del Governo multipartito all’allarme crescente che già montava prima della guerra si sia rivelata molto efficace, a partire dalle bollette e dalla benzina che soffre il carico di iva e accise più alto del mondo.

In nome della globalizzazione abbiamo perso l’indipendenza energetica. Ora sentiamo parlare di aumenti delle spese militari per14 miliardi l’anno. Che forse  ci potrebbero stare se questi soldi fossero finalizzati a un vero esercito europeo e non a comprare carri armati e aerei americani. La verità è che  la nostra risposta alimenta lo stallo senza fine della guerra per procura che gli ucraini portano avanti con il supporto del Military-Industrial Complex.
Pagata dagli Ucraini in termini di disastro umanitario pazzesco, e da noi in termini di disastro economico e di sanzioni autolesionistiche che fanno più male a noi e al nostro export  che non  ai russi, a tutto vantaggio dei concorrenti storici dell’Europa: Americani e Cinesi. Sull’ autolesionismo non ci batte nessuno: siamo gli unici ad avere ancora attivo il green pass, a pagare insegnanti per andare a scuola senza avere contatti con gli alunni, a tenere a casa medici e infermieri italiani e ingaggiarne 2000 ucraini.

E’ fondamentale aggiornare il Pnrr ma anche rivedere priorità investimenti, e «non rendersi conto di quello che sta succedendo non ci porta a fare quello che è necessario». Secondo Carlo Bonomi (citiamo dal comunicato Ansa) deve restare la componente delle riforme agganciata al Pnrr… abbiamo bisogno di un periodo di riformismo competitivo, cioè di fare quelle riforme che da trent’anni il paese aspetta, che lo rendano competitivo, e che non si sono mai fatte… Su quelle ovviamente bisogna andare avanti mentre sul resto io faccio fatica a capire se, permettetemi la battuta, oggi siano più importanti 52 km di piste ciclabili o forse realizzare quegli impianti di rigassificazione di cui abbiamo bisogno e che possono portare sollievo alle bollette energetiche di imprese e famiglie. Perché sennò il rischio è che faremo le 52 piste ciclabili e ci andremo tutti perché non avremo altro».

In tema di export

Se va bene torneremo nel 2023 ai livelli del 2019. E se leggete bene l’import sarà superiore all’export, aumentando così il disavanzo commerciale.

Ma una cosa si può e si deve fare: puntare strategicamente a sostenere le PMI (mano solo quelle che fatturano 250milioni e delocalizzano con gli incentivi Simest). Parliamo di centinaia di migliaia di imprese vive e vitali che lottano resistono lavorano e danno lavoro e sono il cuore dell’economia futura del nostro paese.

Aziende veloci e reattive come quell’azienda pugliese di streetwear Made in Italy che in due giorni ha realizzato una linea di abbigliamento stile “Stop-War” ispirandosi al look  di Zelensky e del presidente francese e le commercializza con gli influencer ucraini dando un contributo per i profughi alle onlus. La candideremo al premio ExportItalia.

A queste aziende bisogna dare risorse e competenze, soprattutto adattarle al nuovo ordine  emergente del commercio mondiale con una visione mirata al 2030. La potenza creativa industriale delle piccole aziende  italiane non si traduce in presenza commerciale  sui mercati esteri. Col risultato che sono i falsi produttori a beneficiare del valore del brand “Made in Italy” e delle  nostre azioni di “global branding”.

Il tutto con il  dovuto rispetto per le piste ciclabili, che però servono a poco fin quando non saranno valorizzate con tecnologie e sistemi  intelligenti che favoriscono nuovi modelli di comportamento e veramente riducono traffico, inquinamento e consumi energetici nelle città. Questo è un altro settore dove aziende italiane e startup potrebbero esportare molto di più, se la competenza tecnico scientifica fosse accompagnata da competenza export ed export management. E’ uno dei temi guida del pensiero ExportItalia2030 di cui questa newsletter è espressione.

Condividiamo qui come sempre le tesi del pensiero ExportItalia2030 e annunciamo l’avvio del Premio ExportItalia, con il patrocinio Maeci e Unioncamere Nazionale, e il sostegno di BPER. Si parte il 27 aprile con la giornata di apertura a Modena per richiamare le creatività e le migliori pratiche di export innovativo , collaborativo, digitale, e l’innovazione delle aziende italiane e dei loro imprenditori ed exportmanager. Le manifestazioni di interesse sono già aperte presso i comitati Uniexportmanager e le associazioni imprenditoriali che patrocinano l’iniziativa.

La competenza e l’intelligenza export portate in tutte le imprese italiane, con una visione di medio lungo termine sono le armi più potenti contro gli effetti di guerra, inflazione, recessione.

Giuseppe Vargiu
Presidente Uniexportmanager