la fabbrica degli incentivi

Se paragoniamo lo Stato a una fabbrica dei “tempi moderni” possiamo dire che uno dei suoi prodotti caratteristici è dato  dalle misure di agevolazione e dai sussidi alle imprese.

Il sostegno alle imprese può essere dato in molti modi: una Pubblica Amministrazione amichevole semplice ed efficiente (il ministro della funzione pubblica ha recentemente proposto una visione di PA “sexy”), meno tasse, semplificazione, ma la modalità preferita dal nostro sistema Italia sono gli incentivi. Questi sono insieme un’importantissima risorsa per le PMI e anche un potente strumento di propaganda istituzionale.

Il problema qual’è?

Quando l’incentivo non va alle PMI e si limita alla propaganda abbiamo tutti un problema. Con il finanziamento PNRR la fabbrica statale delle agevolazioni si è trovata a disporre di fondi pressochè illimitati soprattutto per sostenere l’innovazione digitale e l’export digitale delle PMI.

Il “digitale” è  l’attributo più ricercato delle misure di agevolazione. Soprattutto quando il beneficiario finale è una piccola impresa. Il mantra sacrosanto, conclamato, condiviso, multipartisan è quello di sostenere l’export, la digitalizzazione, e l’innovazione delle PMI. Per inciso questo è anche  di uno dei primi assunti delle tesi #ExportItalia2030 di cui questa newsletter è espressione.
In nome delle piccole imprese che esportano e digitalizzano si elargiscono miliardi, sembra ritornato il tempo dell’ “helicoptermoney” di due anni fa.

Al tempo del PNRR per chi lavora la fabbrica delle agevolazioni?

Oggi, al tempo della guerra e del PNRR, ossia nel momento che è necessaria la maggiore intensità nel sostegno a favore delle PMI, la fabbrica delle agevolazioni per chi sta lavorando? Prendiamo i due ultimi provvedimenti: Piano “Voucher per le Imprese e per la Digitalizzazione” (609 milioni) e Bonus Export Digitale (30 milioni).

E’ un bel colpo di propaganda, sembra quasi che la fabbrica statale delle agevolazioni stia funzionando alla grande. Queste misure avranno ampio riverbero su stampa e media (generosamente finanziate con le risorse di comunicazione apportate dagli stessi fondi), e le piccole aziende che sempre si lamentano saranno finalmente soddisfatte, perche avranno il messaggio, rilanciato dalla generalità dei media con enfasi e consenso totalitario, in stile putiniano, che lo Stato lavora per loro.

Vediamo i due prodotti in dettaglio.

Caso n.1 Piano Voucher Digitalizzazione imprese

MISE: 609 milioni per la digitalizzazione delle imprese

Sono 609 milioni di euro le risorse destinate dal Ministero dello Sviluppo Economico alla digitalizzazione del tessuto produttivo del Paese, che è anche una delle priorità indicate nel PNRR. Si tratta di un importante intervento previsto nell’ambito della Strategia italiana per la banda ultralarga che punta in questa nuova fase a raggiungere da un minimo di 850.000 a un massimo di 1.400.000 imprese beneficiarie. “Supportare la digitalizzazione delle imprese in modo da ridurre il digital divide del sistema produttivo su tutto il territorio nazionale” è l’obiettivo dichiarato.

Le imprese potranno richiedere un solo voucher da un minimo di 300 euro a un massimo di 2.000 euro, per garantire un incremento della velocità di connessione, da 30 Mbit/s a oltre 1Gbit/s, e per  la copertura di parte dei costi sostenuti dalle imprese beneficiarie e giustificati dagli operatori. Fin qui la propaganda. Vediamo la sostanza:

Mediamente stiamo parlando di 30 euro al mese per 18 mesi  perché le aziende paghino i  provider per fare quello che dovrebbero fare di default: connetterli a internet nel modo più efficace possibile. I quali provider, tra vedere e non vedere, si sono affrettati ad aumentare i costi di attivazione e gestione della banda ultralarga e ora pubblicizzano in grande stile l’offerta di incentivi.
La sostanza: alle aziende si richiede un impegno burocratico ulteriore per conformarsi alle regole del voucher  in cambio di 30 euro al mese da dare ai provider, ai quali si regalano 609 milioni per fare il lavoro che già stanno facendo.
Per chi lavora la fabbrica delle agevolazioni (di cui PMI e cittadini dovrebbero essere azionisti e primi beneficiari del PNRR)?

Caso n.2 Bonus Export Digitale

ICE: Bonus Export Digitale

Questo prodotto è l’ultimo arrivato e sembra di una generosità senza precedenti: fino a 90% a fondo perduto per chi fa l’export digitale. Si tratta di sostenere le microimprese manifatturiere nella loro attività di internazionalizzazione.
Finanzia una quantità incredibile di servizi. Il Bonus Export Digitale finanzia le spese sostenute per l’acquisizione di soluzioni digitali per l’export, mentre le prestazioni puntano a sostenere i processi di internazionalizzazione attraverso:

●       la realizzazione di sistemi di e-commerce verso l’estero con siti e/o app mobile

●       la realizzazione di sistemi di e-commerce che prevedano l’automatizzazione delle operazioni di trasferimento aggiornamento e gestione degli articoli da e verso il web

●       la realizzazione di servizi accessori all’e-commerce

●       la realizzazione di una strategia di comunicazione informazione e promozione per il canale dell’export digitale

●       digital marketing finalizzato a sviluppare attività di internazionalizzazione

●       servizi di CMS (Content Management System)

●       l’iscrizione e/o l’abbonamento a piattaforme SaaS (Software as a Service) per la gestione della visibilità e spese di content marketing

●       servizi di consulenza per lo sviluppo di processi organizzativi e di capitale umano

●       l’upgrade delle dotazioni di hardware necessarie allo sviluppo di processi organizzativi


Unica condizione rigorosa prevista dal decreto: i servizi dovranno essere forniti solo da imprese iscritte nell’elenco delle società abilitate, tutte con fatturato di almeno 200mila euro di servizi analoghi già erogati.
I professionisti singoli “Exportmanager” e “Digitalmanager” sono esclusi. Ossia proprio le competenze umane specializzate che sono il primo fattore di internazionalizzazione e digitalizzazione non rientrano in questa misura, e una azienda che avesse a disposizione  un profilo idoneo da impiegare in un progetto digitale non potrà  ingaggiarlo con questa misura.

In realtà c’è ben poca trippa per gatti, dal momento che stiamo parlando del favoloso importo di 4000 euro ad azienda, con il quale potranno essere assegnati 7.500 voucher. Insomma: con questo stupendo prodotto della fabbrica delle agevolazioni: diamo 4000 eur a 7500 piccoli produttori manifatturieri. E’ così che ci aspettiamo che si risolva il problema della competitività internazionale dei 4 milioni di microaziende italiane di cui appena l’uno per cento è esportatrice.

E’ ora di finirla

Le Piccole imprese affondano travolte dalla crisi, dalla guerra, arriva la stagflazione, cresce la disoccupazione, e si continua a erogare sussidi irrilevanti e utili solo a una certa propaganda istituzionale e alle lobby di turno. Secondo uno studio pubblicato questi giorni da ItaliaOggi, si genera un posto di lavoro ogni 35mila euro di contributi, mentre ogni euro erogato determina per le imprese un incremento di fatturato di circa 6 euro.
Calcolate voi l’impatto e l’efficacia in termini occupazionali dei contributi di cui sopra:  4000 euro per “fare” l’ export digitale o 30 euro al mese per connettersi a internet.

I contributi ben finalizzati al supporto delle imprese costituiscono un fondamentale motore di sviluppo, a maggior ragione quando ne sostengono la competitività internazionale. In realtà fra contributi fondo perduto, credito di imposta, e finanziamenti tasso zero non ci sono mai state così tante risorse disponibili per sostenere l’export, che a sua volta sostiene economia e occupazione.
Ma bisogna focalizzare in modo serio  le risorse pubbliche per sostenere gli investimenti delle imprese che vogliono esportare e digitalizzare. Dare 600 milioni ai provider non mi sembra un modo serio per raggiungere questo obiettivo.

Qualcuno ci ascolta

Sappiamo che nelle cabine di regia qualcuno ci ascolta, e qualche volta ci supporta perché è consapevole  lavoriamo con un obiettivo chiaro e trasparente: per migliorare l’export l’occupazione e il numero di aziende esportatrici .

Sappiamo anche che qualcuno si lamenta, per questi stessi motivi e perchè diciamo le cose come stanno. 

Grazie al cielo  nel nostro paese esiste la libertà di pensiero, che qualche volta (non sempre purtroppo) è più forte della propaganda, del pensiero unico, del servo encomio.

Ricordiamo qui alcune delle tesi del pensiero ExportItalia2030 completamente disattese dalla “fabbrica delle agevolazioni” di cui abbiamo parlato.

  • 2.     L’Export è il cuore dello sviluppo dell’economia.
  • 3.     Le PMI sono il cuore dell’export.
  • 4.     Portare competenze export permanenti in ogni azienda.
  • 5.     Obiettivo 2030: 300mila aziende esportatrici.
  • 6.     Essere consapevoli che quanto più risorse sono allocate sull’export tanto più si generano benefici superiori all’investimento e si fa crescere il PIL.
  • 7.     Sostenere l’export come politica attiva che crea lavoro, occupazione e sviluppo.
  • 13.  P.A.: semplificazione, trasparenza, obiettivi chiari, monitoraggio sui risultati.

Trovate qui, nel numero zero della newsletter Linkedin  tutte le tesi del pensiero #Exportitalia2030

Il pensiero #ExportItalia2030 promuove la collaborazione nell’export a tutti i livelli. E’ portato avanti da associazioni come Uniexportmanager, Ancimp, Federitaly, Premio ExportItalia, accomuna gli “Exportpeople” in Italia e all’estero, e tutte le persone di buona volontà che vogliono attivarsi  per migliorare l’export del Made in Italy e generare prosperità.

Giuseppe Vargiu
Presidente Uniexportmanager