La guerra degli imprenditori italiani

Vogliamo parlare della guerra di centinaia di migliaia di piccoli imprenditori italiani che nei prossimi anni vorranno  sopravvivere, tenere aperte le loro attività, pagare i fornitori, gli stipendi al personale, le tasse, i mutui. La storia ci ha insegnato che il  grande business internazionale non solo non subisce la guerra ma spesso lavora per originarla. Ma il tema ExportItalia2030 di questa settimana è che oggi non sono i poteri industriali e finanziari che hanno portato la Nato a stringere il cerchio sulla Russia, e indotto Putin alle sue scelte criminali e catastrofiche.
Il tema sono le PMI che subiscono l’impatto del conflitto, del covid, della crisi energetica, e che se non sono messe in condizione di reagire per tempo al brusco susseguirsi degli eventi rischiano di restare prima invischiate, e poi schiacciate.

Ad esempio l’aumento della benzina

Cominciamo da qui. Molti sono convinti che l’aumento del prezzo della benzina sia colpa della guerra in Ucraina. Non è cosi. Ragioniamo senza farci influenzare.

Oggi il petrolio sui mercati costa 110 $ al barile, e quindi la benzina schizza a 2,3 al litro.

nel 2009 il barile era 180 $ ma la benzina si fermo’ a 1,5.

nel 2012 il barile risalì a 140 $ ma la benzina si fermo’ a 1,8.

(fonte macrotrends.net)
Fonte Ministero della Transizione Ecologica

La realtà è che nei liberi mercati è normale che accadano queste cose. In questo mercato tutti (esclusi forse i benzinai) fanno business e sfruttano i momenti e le occasioni di guadagno e speculazione. Il nostro Ministro Cingolani nelle interviste parla di una truffa colossale, ma intanto l’erario e le compagnie petrolifere statali prendono tutti i benefici dallo spremere aziende e cittadini. Gli utili dell’ENI saranno  stratosferici.

L’importanza delle informazioni

L’informazione è l’arma più potente per difendersi e  attaccare in qualsiasi tipo di guerra, ed entra in gioco prima ancora di aerei, missili e carri armati. Per questo è proprio l’informazione a venire manipolata dalla propaganda e oggi vediamo tutta incentrata su immagini choc, emozione, spettacolo che si autoalimenta in modo esponenziale. Le preoccupazioni per il covid non sono ancora finite, ma ecco che subentra l’angoscia su quello che saranno le conseguenze della crisi energetica e della guerra in Ucraina.

Il filo rosso della disinformazione

Tutti crediamo di capire e giudicare, ma come abbiamo visto dai dati sul carburante non è cosi. Il filo rosso comune della disinformazione unisce guerra e covid, complice il  passaggio definitivo dal mondo reale a quello digitale. Oggi il mondo che ci mostrano i media, la tv, i social, ci sembra quello reale. Ma non è detto che sia così.
Nella guerra in Ucraina l’informazione non verificata e allarmistica e non veritiera è sapientemente usata da entrambe le parti come Arma. Pensiamo all’ospedale di Mariupol: prima bombardato con i bambini e le donne incinte, poi viene documentato un fotomontaggio, poi viene raccontata ancora un’altra storia. Risultato: nessuno sa cosa sia veramente accaduto perché tutti  restiamo condizionati dalle nostre stesse opinioni, che derivano dalla stessa diffusione delle notizie  che non si sa se siano vere,  false, o non verificate.

Abbiamo visto questo fenomeno anche durante la pandemia con la continua incesssante diffusione, di numeri ufficiali allarmanti e ansiogeni. Oggi è l’Istituto Superiore di Sanità a dirci che appena il 2,9 % dei decessi per covid è ascrivibile solo a questa patologia. Il 97,1 delle persone decedute per Covid avevano da 1 a 5 altre patologie. Questo dato i bollettini sparati sui media non lo hanno mai fatto presente.

Fonte

I canali mainstream da due anni diffondono quotidianamente notizie sulla pandemia, spesso senza alcuna reale verifica sul significato e l’esattezza dei dati forniti. In questo caso la disinformazia dei  numeri allarmanti è finalizzata al discutibile obiettivo istituzionale di instillare paura  nei cittadini per fare accettare  l’obbligo di vaccini e certificati e delle misure fortemente restrittive della libertà personale che ancora persistono.

Anche questa resta disinformazione ancora più colpevole perché portata avanti dagli organi istituzionali e dallo Stato. Consoliamoci comunque, perché in paesi come Russia e Cina  il problema della “disinformazia” non se lo pongono proprio. Mentre scrivo hanno appena messo in lockdown totale Shenzhen, una metropoli di 17milioni di abitanti.

L’informazione come arma del commercio internazionale

Temo che lo scenario di questo sfortunato 2022 non sia che l’inizio. Volevamo riprenderci dopo i terribili sacrifici del Covid, arriva l’inflazione che vuol dire una tassa occulta che tutti pagheremo, ne possiamo uscire ma la ripresa economica si ferma e perderemo tutto  se non saremo capaci di governare quello che sta accadendo. Che significa in primis gestire il nuovo business  internazionale con strategia e visione. A tutti i livelli: dalle cabine di regia governative fino alla piccola azienda che per necessità trae da un mercato internazionale il suo sostentamento.


Non a caso nelle business school si insegna Sun Tzu e Von Clausewitz. Le aziende per lavorare con l’estero devono innanzitutto essere rifornite di armi adeguate per combattere.
L’informazione ( o l’intelligence se preferite) diventa l’arma numero uno,   il primo fattore critico di successo di ogni business, e a maggior ragione del business internazionale. Per questo, soprattutto quando l’informazione viene dalle istituzioni è necessario che sia reale, completa, esauriente e svincolata della propaganda. Su questo una prima nota positiva viene  diffusa in questo video del Maeci:

Il portale export.gov.it è una delle cose più pregevoli realizzate dal sistema Italia per supportare l’export delle PMI negli ultimi anni, e cerca di dare un quadro quanto più esauriente possibile del sostegno che il sistema paese assicura alle aziende esportatrici. Che dal 2014 sono diminuite di 20mila unità: non dimentichiamo, sono appena 120mila rispetto a un totale di 4 milioni.
Pertanto, benvenuto questo spot istituzionale che ci presenta la potenza di fuoco delle armi schierate dal sistema Italia, firmate da Maeci, Agenzia ICE, Sace, Simest, CDP, Conferenza dlle Regioni, Camere di Commercio e Conferenza dei Rettori per sostenere l’export e l’internazionalizzazione.

Vogliamo aiutare l’informazione istituzionale a colmare  una lacuna importante?

Invito tutti gli imprenditori e gli “export people” a visitare il portale istituzionale. Dal quale pero’ manca un aspetto importante. Sapete trovarlo? Vi aiuto: il concetto è uguale a quando agli ucraini invasi dai carri armati mandiamo missili che non sanno o non possono usare.

Tanto vale lasciarli combattere con le bottiglie molotov.
L’aspetto più importante dell’export sono le competenze da portare in azienda. E’ inutile regalare strumenti come accessi a piattaforme sofisticate, fiere e marketplace quando dentro migliaia di aziende mancano conoscenze e persone che consentono loro di trarne beneficio. Dopo le competenze export ben vengano tutti gli altri strumenti.

Se non si sensibilizzano le aziende, soprattutto quelle medio piccole, ad acquisire persone e competenze adeguate per un management davvero internazionale del loro business, è tempo sprecato fare sportelli informativi che dicono cosa offre il sistema, fare corsi teorici, andare allo scoperto a fare fiere, piattaforme, marketplace,  incontri con i buyer. Il mercato globale è molto più grande di quello coinvolto dal conflitto e il volume dei commercio internazionali raddoppierà di qui al 2030. Vogliamo restarne tagliati fuori?

Ogni azienda deve avere la possibilità di accedere in modo permanente al supporto di professionisti dell’export, se no si tratta di  fare la guerra senza i soldati e con le armi scariche. Se il sistema Italia vuole vincere la guerra dell’export nei prossimi anni, e accrescere il numero di aziende esportatrici, questo è il messaggio più importante di una informazione corretta.

Il pensiero #ExportItalia2030 lavora con gli “export people” per migliorare l’export del Made in Italy.

Giuseppe Vargiu
Presidente Uniexportmanager