I dati Istat

Gli ultimi dati Istat relativi all’export hanno suscitato reazioni trionfalistiche, ma richiedono un’analisi attenta. C’è giusta soddisfazione perché perché l’Italia è riuscita nel 2021 a raggiungere livelli mai raggiunti sul fronte delle esportazioni. Abbiamo raggiunto quota 471 miliardi, e supereremo i 500 a fine anno, un numero incoraggiante che ci convince dell’importanza di continuare a puntare sulla qualità del Made in Italy.
Al ministro degli Esteri va riconosciuto il merito di aver allocato oltre 5 miliardi di euro sull’export e sull’internazionalizzazione.

Sul tripudio dobbiamo andarci cauti

Partiamo dai numeri, qui il link al comunicato Istat.

A novembre 2021, l’export aumenta del 16,8%. Ma l’import registra un incremento molto più marcato (+27,9%). Come si spiega? Nei primi undici mesi del 2021, la crescita delle esportazioni è dovuta principalmente all’aumento delle vendite di metalli di base e prodotti in metallo (+27,3%), macchinari e apparecchiature (+15,6%), prodotti petroliferi raffinati (+69,2%), prodotti chimici (+18,7%), mezzi di trasporto escluse auto (+20,7%).

Dal momento che i grandi numeri dell’export vengono da petrolifero, chimica, lavorazione metalli, è inevitabile che ad essi si contrappongano i crescenti numeri di import (per vendere benzina devi comprare petrolio, per lavorare i metalli devi importare energia e materia prima). Questi comparti hanno aumentato l’export ma anche appesantito l’import, tanto è vero che il saldo commerciale è in forte calo: +4.163 milioni di euro (era +6.864 a novembre 2020).
Se depuriamo dal settore petrolifero le cose migliorano molto in termini di saldo, ma i grandi numeri affievoliscono notevolmente. Nei settori tradizionali del Made in Italy c’è ancora tanto da fare per raggiungere i mercati internazionali, oggi dominati da un falso Made in Italy che si alimenta della nostra stessa propaganda istituzionale.

Food wine arredo moda lusso

Non assistiamo a una crescita clamorosa dei comparti food, wine, arredo, moda, lusso, non a caso settori dove le piccole e medie imprese son più numerose. Questi comparti che, a dire il vero, anche se non figurano nella hit parade dell’Istat un buon risultato lo hanno messo a segno lo stesso.
Per esempio nel 2021 l’Italia è stata il primo paese esportatore mondiale di vino per volumi. L’export di vini ha registrato un aumento del 15,8%, per un valore di 3,33 miliardi di euro. Peccato che se dal volume passiamo al valore medio non ci sia così tanto da brindare. Infatti il valore medio della bottiglia italiana cresce meno della media, e si allarga la forbice con il principale competitor, la Francia, che con abili strategie riesce a fare volume e, quel che più conta, margini.
Ancora: gli eccellenti risultati export dell’enofood sono dati in gran parte dai grandi gruppi, spesso di proprietà multinazionale, o con produzioni delocalizzate, con 100/200 player che da soli valgono l’80% dell’export. Quel che resta viene conteso tra decine o centinaia di migliaia di piccoli produttori che restano in concorrenza spesso disperata tra loro. Il sistema degli incentivi per l’export è stato messo a punto con l’obiettivo di sostenere le PMI, ma il risultato ancora non lo vediamo proprio. Esultano solo i paperoni.

Il sentiment degli export manager evidenziato dal monitoraggio mensile Audiwine, gestito da Wine Meridian e da Uniexportmanager, dopo mesi di contstante crescita ha evidenziato nel mese di dicembre un drastico calo delle aspettative per il futuro. In realtà è proprio dagli export manager che le aziende si aspettano il supporto indispensabile per governare la complessità di un mercato internazionale imprevedibile e in tumultuosa evoluzione.

Trasparenza per i piccoli imprenditori privacy per i grandi gruppi

Chi ha beneficiato di più e meglio dei fondi per l’export? Non si sa. Quel che ci risulta è che la gran parte dei fondi finora allocati per l’export sono andati a favorire la capitalizzazione delle aziende medio grandi. Il fondo 394, dopo aver erogato munificamente cifre enormi a fondo perduto fino al 50% a grandi e grandissime imprese, dal 2022 sarà costretto ad affievolire al 10% l’intensità dei finanziamenti per l’export delle piccole imprese.

Sarebbe interessante sapere chi sono stati i beneficiari del fondo perduto e del fondo di garanzia. Sicuramente qualche grande marca potrebbe trovarsi in imbarazzo.
Quindi è giusto tutelare con la privacy. Ma allora perchè i destinatari di contributi voucher tem nazionali, regionali, e delle camere di commercio, in molti casi esigui come fette di salame, sono di dominio pubblico e divulgati in nome della trasparenza? Dobbiamo porre fine a questo stato di cose con azioni positive, anche se queste possono disturbare il manovratore.

Export: il cuore battente

Il cuore dell’economia italiana sono le PMI e, pertanto, devono essere protette e supportate. In Italia l’85% delle imprese, che rappresentano il 70% dell’occupazione, sono piccole e medie imprese che hanno resistito con coraggio, ma che dopo il covid hanno bisogno di essere supportate in materia di crescita, sviluppo, innovazione, e soprattutto potenziamento del business internazionale. Rappresentano quindi l’elemento chiave della ripartenza del Paese.

Ora non si capisce perché l’ export delle PMI debba essere sostenuto in tono minore. Abbiamo apprezzato l’insieme delle misure schierate dal patto per l’export, ma dobbiamo far rilevare in modo forte e chiaro che gran parte delle risorse e delle misure, con limitate eccezioni, non ha raggiunto le PMI in misura adeguata. Sono appena 50 milioni le risorse allocate per il voucher tem 2021. Un’ottima misura gestita bene da MAECI e INVITALIA. Per fare un semplice confronto fra le priorità è di questi giorni la notizia che la nuova compagnia di bandiera in 3 mesi è già costata perdite per 170milioni, che come sempre saranno ripianate dallo Stato. Ora i sostegni per l’export delle PMI si ripagano da soli, non sono costi, sono investimenti. Generano non solo profitti ma soprattutto sviluppo e occupazione.

Bisogna cambiare: non trovo corretto usare i grandi numeri dell’export, gonfiati dal petrolifero o dal cantieristico, per far passare l’idea che si tratti di risultati ottenuti delle piccole e medie imprese esportatrici. Bisogna lavorare per ottenere risultati export veri dalle PMI, che sono il cuore dell’economia. Si può fare. Le tesi condivise del pensiero ExportItalia2030 tracciano un percorso che porta a raddoppiare il numero di aziende esportatrici: qui il link alle tesi del pensiero ExportItalia2030 nel numero zero di questa newsletter.

Il cambiamento parte dalle regioni: l’export porta occupazione

La buona notizia è che qualcosa si muove nelle amministrazioni regionali, specialmente al sud, molto più vicine alle PMI e molto più toccate dal dramma della disoccupazione. Amministratori intelligenti che cominciano a portare rinnovata attenzione alla potenzialità export delle PMI. Si tratta di smettere di fare la brutta copia di misure nazionali, di finirla con viaggi e missioni di politici e funzionari, di evolvere partendo da un assunto molto semplice: l’export porta nuova occupazione.

Sostenere nuovi modelli di supporto all’export, portando strutturalmente nuove risorse e nuove competenze export nelle PMI. Non è solo investire nell’internazionalizzazione. E’ una vera e propria politica attiva che crea lavoro e occupazione. Diventano esportatrici solo le aziende che acquisiscono strutturalmente competenze per il business internazionale: interne o esterne, permanenti o temporanee, in azienda o da remoto, in Italia o all’estero, da soli o in export collaborativo. Attivare un circolo virtuoso nel quale l’aumento dell’export delle PMI occupa personale export, il quale a sua volta sviluppa crescita, che sviluppa produzione e che genera nuova occupazione.

E’ solo cosi che le risorse senza precedenti allocate nell’export e i fondi PNRR andranno a buon fine.

Il Premio Export Italia, in avvio nel 2022 con il patrocinio del Ministero degli Esteri, proporrà in tutte le regioni uno speciale riconoscimente alle best practice pubbliche che hanno generato i migliori risultati in favore dell’export delle PMI.

Concludendo

Potremo esultare per l’export con gaudio e tripudio solo quando saremo stati capaci di raddoppiare il numero delle aziende esportatrici.

Giuseppe Vargiu
Presidente Uniexportmanager