In Italia c’è la crisi e solo l’export può salvare il futuro di centinaia di migliaia di PMI.

Eppure, invece di organizzarsi per  affrontare in modo serio e strutturato la domanda proveniente dall’estero le pmi italiane si lasciano fuorviare  da una narrazione trionfalistica dell’export e delle mitiche eccellenze del madeinitaly e continuano a ripetere da 30 anni sempre gli stessi errori. Non  è più tempo di boom economico, siamo in recessione e ne usciranno solo le aziende capaci di organizzarsi e agire per sostenere in modo stabile il loro export.

I dati congiunturali da anni dicono che l’export italiano cresce, ma il numero delle aziende esportatrici resta inchiodato sotto 2% (istat). Vuol dire che poche aziende forti e finanziariamente potenti   prosperano,  e la maggior parte delle  altre arrancano sotto la soglia dei 75mila eur anno di export. Ma è sbagliato addossare la colpa al “piccolo è bello”.

Di seguito 7  gravi errori aziendali  che se perseverati possono portare  molte aziende alla catastrofe, ma anche 7 rimedi che possono salvarle attraverso la buona pratica dell’export.:

Errore 1.   Ricondurre l’export alla mera partecipazione alle fiere.

Per anni bastava andare in giro per il mondo  con campionari e valigetta e si tornava “coi schei“, come dicono in Veneto. Non funziona più così. Le fiere restano uno strumento formidabile ma costano sempre più e rendono sempre meno. Ha davvero senso oggi spender 30mila eur in una fiera all’estero, recuperare 50 contatti, e dopo un anno  chiudere 2 contratti?

Il rimedio: Un piano di lavoro serio e non una serie di fiere.

La fiera  è solo uno strumento, e nemmeno il più importante  del mix di export. Devono venire prima l’analisi, poi gli obiettivi,  gli strumenti per raggiungerli, diversificati e coordinati tra loro e coerenti col budget. E le persone giuste che ci lavorano.  Semplice . Ma molti non lo fanno. Comprare lo stand, magari grazie agli incentivi, ed esporre la mercanzia è molto più semplice.

Errore 2.  Affidare l’export a figure temporanee.

L’export non può essere temporaneo.   Il temporary export manager esterno, entusiasticamente adottato nei repertori dei burocrati e regionali,  sarebbe in realtà  una ottima figura professionale. Se non fosse temporanea.  Ma come si fa a non capire che la funzione export a termine è una contraddizione in termini? Non appena si comincia a vedere i primi risultati il temporary viene cacciato perche è finito il contratto, esauriti gli incentivi, e non c’è budget. Risultato? Gettati via 6 -12 mesi di lavoro e si ricomincia da zero.  Tutto il sistema Italiano di promozione export delle pmi poggia su figure temporanee e provvisorie. Come costruire sulla sabbia.

Il rimedio: L’export manager frazionale.

L’export non può essere temporaneo con persone provvisorie parcheggiate in azienda.   Ma in verità neanche un export manager a tempo pieno è adatto a molte realtà aziendali. Come rimedio sta emergendo anche in Italia la nuova figura del Fractional Export Manager (Export Manager Frazionale).   Si chiama frazionale perche divide il suo tempo fra 5 o 6 aziende committenti. Lavora per voi (e lo pagate) solo se e quando vi serve: può essere un giorno al mese o alla settimana, in azienda o a distanza. E avete sempre in azienda una risorsa preziosa per sostenere continuativamente nel tempo la preziosa continuità della funzione export.

Errore 3.  Carenza di analisi, visione, strategia.

Dicono molte aziende: “La nostra strategia aziendale export è incentrata su collaborazioni basate sul riconoscimento di commissioni sui rapporti portati a termine dall’intermediario ed andati a buon fine” .  Chapeau! Questa sarebbe una strategia?

Rimedio: Siate imprenditori !

e smettete di pensare che ci siano venditori miracolosi a risolvere i vs problemi.  Analizzate la vostra realtà, punti di forza, debolezza, concorrenza, contesto internazionale. Individuate uno o più mercati da sviluppare. E’ pieno di fonti che vi aiutano a fare la scelta giusta e di metodologie agili che vi aiutano a testarne sul campo, con minima spesa, l’efficacia. Poi cercate le figure professionali idonee e non gente che lavori  per voi gratis.  Strategia è attrarre i compratori e consolidarli nel tempo facendo le mosse giuste.

Errore 4.  Non prevedere un budget su marketing e commerciale estero.

Le aziende vorrebbero solo produrre e vendere. Ma la gente non compra il prodotto, compra il VALORE che ne percepisce. Per proporre valore ai compratori esteri bisogna lavorare sui buyer personas e investire il tempo , il denaro e le risorse necessarie.

Rimedio: Calcolate il  fatturato estero atteso  e allocate un budget adeguato per raggiungerlo nel tempo.

Non sto parlando di provvigioni e  premi, quello fa parte di organizzare il pricing.  Dico di  allocare risorse che vi consentano di proporvi all’estero con la necessaria credibilità e azionare  il raggiungimento degli obiettivi.

Errore 5.  Lamentarsi di non avere risorse per sostenere l’export.

Chi ha fatturato ridotto o debole capacità finanziaria perde tempo a lamentarsi  e rinuncia ad agire con soluzioni appropriate, con la conseguenza di fatturare ancora meno e indebitarsi sempre più.

Rimedio: aggregarsi, aggregarsi, aggregarsi.

Con altre aziende, associazioni, partenariati per condividere le spese , i professionisti, trovare risorse, accrescere forza contrattuale, intercettare finanziamenti.

Errore 6.  Export fai da te.

L’Export fatto in casa non è solo questione di saperlo fare, è poterlo fare. Cumulata ai miliardi di incombenze manageriali, amministrative, finanziarie che si abbattono ogni giorno  sui nostri imprenditori, la funzione export finisce in fondo alle priorità, diventa estemporanea e condizionata a stress e a scelte non ragionate. In una parola inefficace.

Rimedio :

Un junior che fa le telefonate in buon inglese non può essere la soluzione. Attivate nell’ organigramma aziendale la funzione export e delegatela a esperti , interni o esterni, tempo pieno o parziale, in house o a distanza,  che siano in grado di sostenerla CONTINUATIVAMENTE.

Errore 7.  Trascurare l’innovazione e il digitale.

Troppi non si sono ancora accorti che esiste internet, che l’export è sempre più digitale, che i rapporti tra compratori e venditori si intrecciano online, su skype, sui social, la reputazione si costruisce con gli influencer, all’estero vi trovano solo su google e sulle piattaforme online. 

Rimedio :

Senza digitale non c’è export. Prendetene atto. Il profilo/i profili delle figure professionali export manager che ingaggiate devono integrare non solo competenze e abilità linguistiche, di esperienza e di analisi, ma devono agire padroneggiando il digitale e l’innovazione. Sempre più l’export manager è un innovation manager e sempre più l’export è digitale.

Non sono la Madonna del Rimedio e sappiamo che le aziende e gli imprenditori devono vivere il loro export ognuna con la propria sensibilità e  intelligenza aziendale. Ma credo che bisogna darsi una mossa, sia le aziende che i professionisti, siamo noi con le nostri azioni che attiviamo le migliori pratiche per uscire dalla crisi.

Con i colleghi  che si riconoscono e  nella nuova associazione UNIEXPORTMANAGER stiamo promuovendo tutte le iniziative che favoriscano l’aumento del numero di aziende italiane esportatrici attraverso il libero ingaggio dei professionisti export  da parte delle aziende senza vincoli e interposizioni obbligatorie di enti e agenzie.

Stiamo anche favorendo il riconoscimento della verà professionalità dell’export, al di fuori della miriade di repertori esistenti, in massima parte autoreferenziali. Lo faremo con una norma UNI trasparente e condivisa che diventi un punto di riferimento indipendente per i professionisti e per le aziende di questa attività vitale per il futuro delle aziende italiane. A breve sarà lanciata la consultazione pubblica.