Il lavoro già oggi occupa mediamente appena il 18% della nostra vita, ma fra 35 anni si ridurrà all’1% . Fa discutere la profezia contenuta nel video di Casaleggio Associati, avallata da scienziati e premi Nobel.

Per chi si fosse perso questo stupefacente video ecco qui il link:

Effettivamente l’automazione estrema della produzione in tutti i settori spinge le aziende a diventare smart companies, senza personale umano, o comunque senza il lavoro come eravamo abituati.

La vendite diventano automatizzate, auto, trattori e autobus si guidano da soli, i magazzinieri scompaiono, i bancari diventano esodati o consulenti blockchain, arrivano i ristoranti automatici, anche le prescrizioni mediche sono fatte dai robot. Una rivoluzione che si estende al mondo delle professioni.

Ma non tutti sono d’accordo rispetto alla alla “fine del lavoro” preconizzata per il 2054.

Prendiamo in passato l’introduzione dell’automobile. Sicuramente ha ridotto la quantità di personale richiesto per la gestione di cavalli e carrozze. Ma è evidente che, nonostante l’elevato impiego dell’automazione industriale e delle altre innovazioni, questo settore occupi lavoratori in un numero molto maggiore rispetto all’epoca degli spostamenti a trazione animale. 

Ossia l’innovazione distrugge lavori ma ne crea di nuovi in misura anche maggiore.

Certo è difficile che un benzinaio diventi ingegnere elettronico . Pero l’evoluzione è in atto e dobbiamo tenerne conto.

Cambia il lavoro ed evolvono i modelli di attività economica delle persone e delle professioni.

I lavori sicuri sono sempre più  quelli dove prevale il tocco umano. Le persone che guadagnano di più saranno quelle che riescono a interagire meglio sia con l’intelligenza artificiale delle banche dati che con le altre persone anche a distanza.  La formazione diventerà obbligatorio farla tutta la vita. Andare in ufficio o in fabbrica diventerà inutile perchè la gran parte delle attività sarà digitalizzata e svolta a distanza.

La quota di reddito generata dal lavoro tradizionale è destinata progressivamente a diminuire.

Vale anche nel commercio internazionale. Qui l’evoluzione è già in atto: non conta quanto tempo lavori ma con quanta intelligenza ottieni risultati. Il valore si genera  senza muoversi da casa, mantenendo i contatti con altre persone , da ogni parte del mondo, accedendo a banche dati che selezionano sia i venditori che i compratori , gestendo sistemi e tecnologie per monitorare i comportamenti d’acquisto.

Le imprese assumeranno sempre meno dipendenti tradizionali addetti all’export, e sempre più ingaggeranno consulenti esterni in grado di padroneggiare reti innovazione digitale e interagire distanza . In team, con clienti e partner.

Non sappiamo se si lavorerà l’1% del tempo in futuro. Ma già oggi i professional del commercio estero operano online, senza orari , spesso condivisi da diversi clienti che interagiscono con loro in rete, su piattaforme on line.

Il tempo di lavoro è una variabile irrilevante nelle professioni dell’export , che oggi sono caratterizzate da digitale, innovazione, reti, lean management, conta il valore che sono capaci di creare .

Giuseppe Vargiu, presidente Uniexportmanager